Diciamo la verità, nella vita sarebbe difficile per tutti essere sempre degli Special One, scrive Massimo Cecchini su La Gazzetta dello Sport. Ma c’è un’arte ancora più grande rispetto alle azioni che occorrono per diventarlo: saper incarnare quel ruolo a prescindere da quanto succede. Per certi versi, è quanto sta accadendo a Roma riguardo a Mourinho. Il suo palmares, d’altronde, è indiscutibile: 25 titoli vinti e un carisma ineguagliabile. Proprio per questo il 4 maggio, quando arrivò l’annuncio del suo ingaggio, il polveroso football di casa nostra ebbe uno scossone e i tifosi giallorossi ricominciarono a sognare. Invece, nonostante la Roma sia stata la società italiana che più ha investito sul mercato estivo (circa 83 milioni spesi) e si sia mossa bene anche a gennaio (Oliveira e Maitland-Niles), a metà febbraio la realtà racconta di una squadra che è 7a (la Lazio ha vinto il derby e ha segnato più gol), ha 5 punti in meno del 2021, è a 6 punti dalla zona Champions – dichiarato obiettivo stagionale – ed è stata eliminata dalla Coppa Italia, restando in corsa, nei fatti, solo per un titolo: la modesta Conference League, anche se il rischio di una stagione da “zero tituli” viene quotato già a 1,16. Non basta. La Roma ha già accumulato 11 sconfitte, confermando il vizio della squadra di Fonseca: soffrire le grandi. Non è un caso, che contro le prime 4 della classifica abbia fatto finora solo un punto: in casa col Napoli. Eppure la stragrande maggioranza dei romanisti – gli stessi che hanno crocifisso Garcia, Di Francesco, Ranieri o Fonseca e criticato persino Spalletti – adesso è votata solo al “monoteismo mourinhano”, tanto da cominciare a criticare persino i silenziosi Friedkin – che hanno investito finora oltre 500 milioni – perché hanno uno stile più istituzionale. A motivare questa fede a oltranza concorrono tre elementi. Il primo: la certezza che Mou sia l’unico in grado di assicurare successi perché, curriculum alla mano, quasi tutti pensano che non avrebbe mai accettato la Roma senza garanzie di sviluppo. Il secondo: la speranza che il portoghese convinca la proprietà ad acquistare campioni, per non correre il rischio di appannare la propria immagine. Parentesi: in effetti Mou questo sta riuscendo parzialmente a farlo. Vero che il sospirato regista (Xhaka) forse lo otterrà solo a luglio, ma non è un caso che l’acquisto di Abraham (40 milioni) sia arrivato grazie a un extra-budget deciso dalla proprietà. Terzo elemento: il cavalcare quel senso di persecuzione che la tifoseria vive da decenni, con gli arbitri perennemente nel mirino.
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