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Silenzio all’americana, fiducia in Mou e Pinto: ecco perché i Friedkin non parlano

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“Noi siamo i custodi del patrimonio della Roma, non ci piace essere chiamati proprietari perché la Roma è di tutti“. I Friedkin hanno segnato una rottura con il recente passato del club anche dal punto di vista comunicativo

Redazione

Dopo l’ennesima partita mediocre della stagione e dopo un altro controverso episodio arbitrale (l’ammonizione scontata di Zaniolo, ma anche il fallo su Oliveira), la comunicazione post partita della Roma è stata nuovamente affidata in toto a Josè Mourinho. Lo Special One è, insieme a Tiago Pinto, che infatti ha parlato prima della partita, l’unico portavoce associabile ai giallorossi. Scelta chiara, fin dall’inizio, ma dopo il primo obiettivo ufficiale stagionale andato via, magari qualche tifoso avrebbe voluto sentire la voce della proprietà. O avrebbe voluto vederli e saperli negli spogliatoi del Meazza, mentre l’Inter accoglieva Mou giustamente in pompa magna. Come a dire: “Rispetto per il passato, ma presente e futuro siamo noi”.

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La linea comunicativa dei Friedkin

Il duo portoghese, Mou e Pinto, ha di fatto sostituito Guido Fienga come “voce dell’As Roma” precedentemente indicata dai nuovi proprietari. La linea societaria è stata questa dal principio, dal giorno zero: poche chiacchiere, almeno da parte loro, e tanti fatti, motto che però negli ultimi mesi sta iniziando a vacillare. “Siamo abituati a identificare e, cosa più importante, supportare un management forte. Preferiamo far sentire la nostra presenza piuttosto che parlare e per questo motivo abbiamo incaricato la nostra dirigenza, in particolare Guido Fienga, di gestire la maggior parte delle comunicazioni per conto del Club”. Iniziava così il primo comunicato ufficiale dei Friedkin come nuovi proprietari dell’AS Roma, chiarendo sin da subito quello che sarebbe stato il loro modus operandi nella gestione della società: “Crediamo che una cultura vincente debba partire dall'alto e intendiamo dare l'esempio. Il nostro modo di lavorare è diverso. È più importante lavorare che parlare. Quando il Club avrà qualcosa di concreto da dire allora si farà sentire”. Quando, se non ora? La cultura del lavoro di un uomo d’affari made in Usa, è diversa da quella italiana, ma non per questo meno efficace. Dan e Ryan sono presenti all’interno del mondo Roma, se non in modo fisico, almeno con un loro rappresentante di fiducia. Sono molto spesso sugli spalti dell’Olimpico a sostenere la squadra, abitudine ormai caduta in disuso negli ultimi anni di gestione Pallotta, senza mai risultare invadenti. Gestire un club di calcio come la Roma però è molto diverso da qualsiasi altro investimento precedentemente fatto dai texani e una presidenza silenziosa in classico stile Premier League può rivelarsi un’arma a doppio taglio.

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La voce del silenzio

E’ vero che la differenza di competenza in materia calcistica tra Mourinho e Dan e Ryan Friedkin è piuttosto ampia ed è quindi giusto che sia lui ad occuparsi di questo aspetto anche a livello mediatico, ma è anche vero che la voce di un dipendente non può mai essere forte quanto quella di un proprietario, specie se questo ha già investito nell’azienda 535 milioni di euro. I Friedkin per il momento continuano con questa politica del silenzio, attuata non solo nella Capitale ma in tutte le loro società, anche dopo le infelici e successivamente giustificate parole della C.t Azzurra Bertolini nei confronti di Zaniolo. “Il silenzio non è sempre d’oro”, ha detto e scritto Rosella Sensi nel post Genoa. E quello dell’ex presidentessa, è sembrato un monito che chi ha guidato il club per anni ha voluto fare alla nuova proprietà perché la Roma prima o poi avrà bisogno di una voce grossa che tolga la società da questa mediocrità che la circonda ormai da troppo tempo.

Marco Di Cola