Senza palle, senza personalità, da serie C. Josè Mourinho ha sintetizzato in poche e durissime parole quello che la maggior parte dei tifosi romanisti ha pensato mentre assisteva all’ennesima debacle della Roma. Un crollo? No, la normalità e la certificazione che il processo di crescita mentale è pari allo zero. Di qualcosa il tecnico si era accorto già in estate. Troppi social, troppi sorrisi, troppi scherzi per una squadra che era appena finita settima. I primi a essere catalogati come “senza personalità” sono stati quelli che hanno preso il volo (vedi Villar) tranne ovviamente Dzeko che Mou si sarebbe tenuto stretto. Il bosniaco è stato una sorta di Highlander, l’ultimo sopravvissuto di una squadra da semifinale di Champions composta tra gli altri da Nainggolan, De Rossi, Alisson, Manolas. Insomma tutta gente con le palle. Poi il processo ammorbidente. Il ricambio in termini di personalità prima che tecnici è stato disastroso sotto le gestioni Monchi, Petrachi e Pinto. Se ne era accorto anche Fonseca. Non poteva non intuirlo subito Mourinho che ha provato inizialmente a iniettare adrenalina nelle vene dei giocatori come gli chiedeva pure la società.
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Mourinho, terapia di gruppo fallita: dalle risse estive alla resa di San Siro
Lo sfogo di Mourinho e i crolli della Roma certificano la crescita zero del gruppo. Ecco le tappe del processo non riuscito
Le tappe di un processo di zero crescita
Il primo effetto è stata la Roma rissaiola d’estate, quella che rimedia 6 espulsioni col Betis e finisce quasi a cazzotti col Porto. Più che personalità sembrava isteria, ma almeno era una reazione. Lo Special One sperava potesse poi trasformarsi in maturità, anche se cattiva. In molti scommettevano sul miracolo di Mou. E si vedeva (o si voleva vedere) la crescita mentale di gente come Mancini, Ibanez o Veretout. Anche lo stesso Mourinho iconicamente aveva provato ad alimentare pubblicamente il rapporto emozionale con alcuni di loro sul campo. Era solo una illusione. Perché con le prime sconfitte sono tornati i traumi del passato e si è capito che è impossibile ricavare frutti dove non ci sono alberi. Così il vicecapitano Mancini ha perso la bussola, il capitano vero Pellegrini ha perso troppi treni e pure il fronte inglese si è mostrato debole. Sia Smalling che Abraham, ad esempio, stentano ancora a parlare italiano. Una inezia? Non proprio. Perché i problemi comunicativi, soprattutto in difesa, sono evidenti. L’unico a provare a trasmettere grinta è Rui Patricio, troppo lontano da dove si combatte in campo però. Mourinho non è nuovo a certi sfoghi. Non erano usciti sui media ma parole simile erano state ripetute già dopo le sconfitte con Bodo, Milan e Juventus. Pubblicamente li aveva salvati, almeno i titolari. Si era concentrato sulle riserve in uscita per demarcare una linea. Ma nessuna di queste strategie ha avuto successo. I giovani sono esentati solo in parte da questo discorso, ma è ovvio che il mirino si sposta soprattutto sugli over 25. Il paragone con la concorrenza è impietoso. Dove il Milan ha Giroud la Roma ha Shomurodov, dove l’Inter ha Skriniar la Roma ha Ibanez, dove la Juve ha Chiellini la Roma ha Mancini. Insomma di leader nemmeno l’ombra. Questo è il primo input sul mercato. E’ arrivato Sergio Oliveira, che non era certo il leader Maximo del Porto. Serve di più, molto di più.
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