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Proclami e rassegnazione: da Luis Enrique a Spalletti, ecco tutti i cambi d’umore della Roma americana

Mirko Porcari

Uno sconosciuto chiamato a risollevare la Roma dalle macerie della Coppa Italia. "Chi contesta è della Lazio", tutto era cominciato così, con una mancanza di tempismo figlia della voglia di stupire: caos da razionalizzare, poco tempo per farlo e necessità di entrare nel cuore dei tifosi, tutto rimandato ai primi mesi di campionato. "Un derby non si gioca, si vince", massima fiducia nei propri ragazzi, la "chiesa rimessa al centro del villaggio" ed una sintonia totale con società e ambiente. Il primo anno è quello dell'amore a oltranza, degli "undici lupi incazzati" che viaggiano spediti verso il record di vittorie consecutive e lottano a distanza con la Juventus.

Il secondo anno si apre con entusiasmo ("siamo forti"), ma di fronte c'è la serata del violino allo Juventus Stadium: "Dopo stasera ne sono ancora più convinto, noi vinceremo lo scudetto", parole fortissime che segnano il punto di non ritorno nell'avventura del francese a Roma. Le serate amare di Champions ed un rendimento altalenante in campionato fanno da contorno ad un Rudi Garcia sempre meno saldo sulla panchina giallorossa: la critica comincia a farsi pressante, la banalità fa capolino nelle dichiarazioni e nelle conferenze stampa fino ad un mea culpa fisiologico ("Forse c'è una divinità che mi ha voluto punire per la mia superbia") che crea un solco negli ultimi mesi a Trigoria.

"Siamo i primi del nostro campionato, la Juventus è fuori concorso. Loro possono contare su introiti che noi non abbiamo", la presa di coscienza non piace alla società, il terzo anno nasce su equivoci che si trascineranno fino al gennaio scorso, quando Rudi Garcia lascerà il posto a Luciano Spalletti.

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