Fulvio Bernardini
- Nazionalità:Italia
- Età:118 (28 dicembre 1905)
- Altezza:1.75 m
- Peso:70kg
- Piede:Destro
- Valore di mercato: mln
PROFILO
BIOGRAFIA
Fulvio Bernardini era un calciatore che giocava nel ruolo di centrocampista – dopo essere stato portiere, quando era un bambino e successivamente attaccante – che a fine carriera è stato anche dirigente sportivo e allenatore. Soprannominato ‘Il professore’ per la sua laurea in economia, era nato a Roma il 28 dicembre del 1905 e a Roma è morto il 13 gennaio del 1984. Sulla data di nascita c’è un episodio curioso: nato a fine anno, è stato registrato solamente il 1° gennaio del 1906. Ha giocato nella Lazio (quando la Roma ancora doveva nascere) e nell’Inter, ma ha sempre dichiarato che il legame che ha sentito con la Roma è stato speciale. A lui è intestato il centro sportivo di Trigoria, sede del club giallorosso. E’ stato uno dei primi calciatori a conseguire la laurea, una rarità a quei tempi non solo per chi faceva del calcio la propria professione. L’allenatore della nazionale di quegli anni, Vittorio Pozzo, lo ha descritto come un uomo superiore agli altri “per carisma e intelligenza di gioco”.
LA CARRIERA
Fulvio Bernardini (anche noto come Fuffo), da professionista ha giocato nella Lazio, nell’Inter, nella Roma e nella MATER (società calcistica degli anni 30 e 40 con sede a Roma e che ha raggiunto la serie B come massima competizione disputata), ma negli anni ha sempre dichiarato di essere rimasto legato in modo speciale ai giallorossi. Il Professore ha cominciato a giocare come portiere, quando era ancora un bambino per poi diventare un attaccante, una mezzala e poi centromediano. Quando era piccolo gli piaceva stare tra i pali ma poi, a seguito di un incidente di gioco che lo ha segnato e spaventato (anche se qualcuno ha raccontato che la scelta potrebbe essere dipesa anche da 4 gol presi in una partita con il Naples, quando era ancora un giocatore della Lazio), ha deciso di uscire dalla porta e diventare attaccante, almeno inizialmente. Era ancora un ragazzino quando ha cominciato la sua carriera alla Lazio. La scelta, secondo quanto lui stesso ha sempre raccontato, è ricaduta sui biancocelesti perché aveva trovato il cancello chiuso alla Fortitudo. Le giovanili quindi le ha cominciate con i biancocelesti e a poco più di 13 anni ha esordito – quando ancora era un portiere – contro la Pro Roma, associazione sportiva della capitale. Poi, a 16 anni, ha deciso definitivamente di cambiare ruolo e giocare in attacco. Con la maglia della Lazio, ha giocato una partita tra i pali contro il Footbal Club di Roma, oltre ad aver anche indossato la fascia da capitano in qualche occasione. Nel campionato 1922-23 ha giocato quella che era definita la finalissima, la partita finale del campionato italiano di calcio che vedeva opposte la migliore squadra del nord contro la migliore del centro sud in un doppio incontro. Al termine di quella stagione i biancocelesti, con cui giocava Bernardini, si sono giocati il titolo contro il Genoa che ha vinto sia l’andata (4-1), sia il ritorno (2-0). Nonostante il doppio ko, il calciatore romano si è messo in luce, tanto da ricevere i complimenti del capitano del Genoa. Con la Lazio, il professore è rimasto fino al 1926 ed ha giocato in totale 58 partite e segnato 67 gol. Nel 1926 ha cambiato maglia ed è approdato all’Inter, ma non è stata un’operazione facile. Infatti, per lasciare i biancocelesti, ha pagato di tasca sua la penale, lasciando l’importo dovuto, nelle mani di un giudice (un jury d’onore), per non avere più contatti con i dirigenti del club. La scelta, secondo quanto raccontato in seguito dal giocatore, era dipesa dal fatto di aver scoperto che, mentre lui giocava senza percepire nessun ingaggio, qualcuno dei suoi compagni invece veniva pagato sotto banco.
Dopo essere venuto a conoscenza dei fatti, saputo di dover pagare una penale, senza indugi ha tirato fuori i soldi di tasca sua (20 mila lire in cambiali), pur di andare via, nonostante il club stesse provando a convincere il padre a spingere per farlo rimanere. Presa la decisione di lasciare i biancocelesti, il calciatore (corteggiato anche dalla Juventus), è partito per Milano, sponda Inter (a cui fu poi dato il nome di Ambrosiana dal regime), dove ha conosciuto e subito apprezzato il giovane Giuseppe Meazza che a quel tempo giocava nelle giovanili. Bernardini spesso si fermava ai campi di allenamento ad assistere al lavoro dei ragazzi e in quelle occasioni ha notato l’attaccante e ha spinto lui, con l’allenatore di quel tempo – l’ungherese Weisz - perché venisse portato in prima squadra. Negli anni 20, i calciatori non erano pagati dai club, così i nerazzurri per assicurarsi il cartellino del Professore gli avevano offerto anche un posto in banca. E proprio mentre era a Milano si è iscritto all’università Bocconi per seguire il corso di laurea in economia. All’Inter è rimasto due anni dove ha giocato, in totale, 59 partite e segnato 27 gol.
Mentre Bernardini era in nerazzurro, nella capitale, nel 1927, è nata una nuova società di calcio: l’Associazione Sportiva Roma. E proprio il nuovo club, nel 1928 – un anno dopo la sua nascita - ha acquistato il cartellino del giocatore. Il Professore forse ancora non lo sapeva, ma era approdato a quello che sarebbe diventato il club della sua vita. Con i giallorossi ha giocato prevalentemente come centromediano, oltre ad essere diventato anche il capitano della squadra. Ha ricevuto la fascia dal compagno di reparto Attilio Ferraris IV e i due erano considerati una delle coppie più solide del campionato, in mezzo al campo. Il campo di allenamento della Roma era a Testaccio, nel quartiere poi rimasto nella storia dei i colori giallorossi, ancora oggi feudo romanista. Con Fulvio Bernardini capitano, la squadra ha sfiorato due volte la vittoria in campionato, nel 30-31 e nel 35-36. Il Professore è rimasto alla Roma fino al 1939, dove ha giocato 302 partite e segnato 46 reti. La storia calcistica di Fulvio Bernardini si divide tra le 258 partite giocate in Serie A (che ha assunto questo nome a partire dal torneo del 1929-30), campionato italiano finale storico (i cui ha giocato 46 gare) e Primo Livello storico (96), oltre alle partite giocate in Coppa Italia (11) e alla Mitropacup (10). Dopo aver detto addio alla Roma, si è trasferito alla MATER, una società romana attiva per soli 12 anni, dal 1933 e che è stata sciolta nel 1945, dopo che la guerra mondiale che ne segnò il declino economico. Negli anni in cui il Professore è rimasto nel club, ha ricoperto il ruolo di calciatore e di allenatore, cominciando così la sua esperienza come tecnico.
NAZIONALE
Fulvio Bernardini è stato il primo calciatore non solo romano, ma del centrosud, ad essere convocato dalla nazionale per cui, fino a quel momento erano stati considerati solo giocatori nati al nord. Il suo debutto in maglia azzurra è avvenuto il 22 marzo del 1925, a 20 anni ancora da compiere (19 anni 2 mesi e 22 giorni). Il responsabile tecnico della selezione nazionale era Augusto Rangone, su suggerimento di Guido Baccano, che è stato un dirigente sportivo di quegli anni, allenatore e arbitro. Con la maglia dell’Italia, Bernardini ha partecipato alle Olimpiadi del 1928, disputate ad Amsterdam, ed ha vinto la medaglia di bronzo. Poi, con il cambio di commissario tecnico, il calciatore romano ha perso il posto. Sulla panchina azzurra è arrivato Vittorio Pozzo che, come ha raccontato proprio Bernardini, lo ha escluso adducendo una motivazione quanto meno particolare. Sempre secondo quanto ricordato dal calciatore infatti gli avrebbe detto, in sostanza, che era troppo forte e che “giocava in modo superiore” e per questo avrebbe messo in soggezione i compagni. È terminata così l’avventura del centrocampista con la nazionale che alla fine ha giocato 26 volte con la maglia azzurra e segnato 3 gol.
LA CARRIERA DA ALLENATORE E DIRIGENTE
Proprio mentre era un giocatore della MATER, Fulvio Bernardini ha ricoperto anche il ruolo di allenatore. Le annate vanno dal 1939 al 1945. Mentre era ancora un tesserato del club romano, ha assunto anche la nomina reggente della FIGC, il 27 luglio del 1944. Un’avventura durata qualche mese, fino al 4 dicembre successivo quando ha presentato le dimissioni. Nel 1945, inevitabilmente per il fallimento della società, ha interrotto i rapporti con la MATER ed è tornato ad allenare nel 1949, sulla panchina della Roma. Nello stesso periodo ha diretto la squadra Primavera portandola fino alla finale persa con la Sampdoria. Con la prima squadra non è andata così bene invece, tanto che a tre giornate dalla fine della stagione si è ritrovata in zona retrocessione e Bernardini si è dimesso. Per ritrovare una panchina ha aspettato fino al 1951, quando è stato chiamato dalla Reggina (che disputava la serie C in quegli anni), e dove è rimasto una stagione. Poi è andato a dirigere il Lanerossi Vicenza che ha guidato per due stagioni. Evidentemente le esperienze fatte in squadre meno blasonate lo hanno aiutato a capire molto sui metodi di gioco, tanto che con la Fiorentina prima e il Bologna poi ha vinto due scudetti, risultati storici visto che fino a quel momento era materia che sembrava riservata alle milanesi o alle torinesi. Con la Fiorentina è arrivato anche alla finale di Coppa dei Campioni, persa con il Real Madrid, e anche qui ha segnato un record, perché i viola sono stati i primi italiani a raggiungere un traguardo del genere. Allenatore anche della Lazio, nel 1958 ha vinto il primo trofeo della società, la Coppa Italia. Il metodo di gioco del Professore era considerato innovativo, basato sul WM ma con la variante dell’‘elastico’. Aveva studiato e messo in pratica diverte tattiche, ma la sua idea principale era quella che le squadre dovessero puntare soprattutto sul talento dei giocatori. Bernardini, infatti, era convinto che la tattica fosse importante, ma di più lo erano i piedi buoni dei calciatori che compongono una squadra.
Lo scudetto con il Bologna vinto nel 1963-64 fu però molto discusso. Dopo una partita con il Torino, vinta per 4-1, sono inizialmente risultati positivi ai controlli antidoping 4 giocatori rossoblu e Bernardini è finito nell’occhio del ciclone, incolpato di aver dopato i suoi calciatori. A seguito di questi episodi, all’allenatore è stata inflitta una squalifica di un anno e mezzo e al Bologna sono stati tolti i punti della vittoria della gara con il Toro, oltre a un altro punto di penalizzazione. La vicenda però è andata avanti, il club ha fatto ricorso e in qualche modo è riuscito a dimostrare che le provette dei giocatori erano state manomesse. Alla luce di questo le penalizzazioni e le squalifiche sono state annullate. Il Bologna è tornato in corsa per lo scudetto che si stava giocando con l’Inter. Proprio nei giorni decisivi è scomparso il presidente del Club, Renato Dall’Ara, quattro giorni prima dello spareggio previsto proprio tra Bologna e Inter che, a fine stagione, si sono trovate a pari punti. I giorni di lutto non hanno fermato gli emiliani che hanno battuto i nerazzurri e sono diventati campioni d’Italia. Subito dopo aver vinto lo scudetto con il Bologna, Bernardini è passato sulla panchina della Sampdoria dove è rimasto 5 anni e proprio in quel primo anno la squadra è retrocessa, ma ha ritrovato la serie A subito nella stagione successiva, arrivando prima in serie B nel 65-66.
Dal 66 fino alla fine della sua avventura è rimasta in serie A. Andato via da Genova, ha intrapreso la carriera da dirigente, diventando il direttore sportivo del Brescia ed è stato proprio lui a scoprire e far emergere Altobelli. Finito il mandato nel 1973, Fulvio BErdardini l’anno successivo è tornato a fare l’allenatore, questa volta alla guida della Nazionale ma al mondiale del 1974 è stato eliminato al primo turno e nel 1977 è stato rimosso per fare spazio ad Enzo Bearzot. È tornato a Genova, ancora sponda Samp, ma questa volta come direttore generale e dove è rimasto fino al 1979. Dopo la sua morte, nel 1984, è stato intitolato a lui il centro sportivo della Roma, con sede a Trigoria, per scelta dell’allora presidente del club e fondatore del centro: Dino Viola. Nel 2012, è entrato nella prima edizione della Hall of fame dei giallorossi. Fulvio Bernardini è scomparso nel 1984, da tre anni era malato di SLA (sclerosi laterale amiotrofica). I legami tra la malattia e l’attività agonistica sono emersi solo tanti anni dopo, a seguito dei diversi studi fatti che hanno evidenziato proprio che ci fossero delle relazioni strette tra le due cose. Il Professore è stato sepolto nel cimitero monumentale del Verano, a Roma.