Tre mesi per uscire dalla borsa e chiudere un’era iniziata il 23 maggio del 2000 con l’ingresso a Piazza Affari della Roma per mano del presidente Franco Sensi scrive Dario Marchetti su Tuttosport. Ventidue anni dopo i Friedkin hanno puntato, invece, sul delisting, andato in porto il 22 luglio scorso dopo il lancio dell’OPA. Tra i vantaggi più evidenti del delisting c’è il risparmio di costi che il club era obbligato a sostenere ogni anno per via della sua quotazione in borsa, così come tra gli obblighi c’era quello di rivelare al mercato molte informazioni che non sempre i gruppi di controllo hanno interesse a divulgare. Un’operazione comunque in linea con il low profile che contraddistingue i Friedkin e che ai proprietari americani è costata in totale circa 37 milioni di euro. Perché l’obiettivo della Roma, lanciando l’OPA (Offerta Pubblica di Acquisto) lo scorso 13 giugno, era quello di arrivare con la Romululs and Remus Investments LLC a detenere il 95% del capitale sociale, partendo dall’86,8%.
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Roma, ciao Borsa: ecco come ne è uscita
Dall’annuncio di voler uscire dalla borsa al lancio dell’OPA, però, è passato un mese nel quale la Consob ha approvato l’Opa giallorossa ed è andato in porto lo “Stake-Building”, rastrellando un altro 3% del capitale sociale e raggiungendo quota 89,99%. Dunque per ottenere gli ultimi cinque punti percentuali, la Roma ha lanciato il “Loyalty Program”, ovvero un programma volto ai piccoli azionisti che sarebbero stati incentivanti così a vendere le loro quote ai Friedkin.
L’ultima proroga, arrivata quando la società aveva raccolto il 94,1% del capitale sociale, ha permesso ai Friedkin dal 14 luglio al 22 dello stesso mese di raggiungere l’obiettivo del 95% grazie anche al fatto che la società per convincere gli indecisi ha alzato l’offerta da 0,43 a 0,45 euro per azione. Una mossa che si è rivelata vincente avviando l’ultimo step che ha portato all’uscita dalla borsa il 14 settembre, ovvero lo squeeze out e dunque acquisto da parte dei Friedkin delle restanti azioni (circa il 4%) rimaste in mano a privati o società al momento della chiusura dll’Opa per avere il 100% del capitale sociale.
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