Elio Capradossi ha esordito in Serie A a Cagliari e per festeggiare ha scelto petto di pollo alla griglia e insalata col padre Corrado nella loro casa di via Tiburtina. "Io glielo dico sempre di mangiare una lasagna - racconta il genitore -, ma lui mi risponde a tono: lo sai che devo sta’ attento". Quella di Elio Capradossi la sua non è stata sicuramente una vita semplice, scrive Chiara Zucchelli su "La Gazzetta dello Sport". Anni fa si è definito "un ragazzo molto fortunato" e gran parte del merito va a Corrado e Carmen, papà e nonna, che lo hanno cresciuto. Il resto ce lo ha messo lui: testa sulle spalle, sorriso sempre pronto, anche quando ha dovuto fare i conti con dolori grandi (brutta rottura del crociato) e dolori enormi, come la perdita della mamma. Ecco uno stralcio delle dichiarazioni rilasciate dal papà Corrado:
rassegna stampa
Papà Capradossi: “Mio figlio Elio? Ha l’Africa dentro e Roma nel cuore”
Il padre del difensore giallorosso apre l’album di famiglia e svela: "Io amo il rugby, ma per lui la palla è solo rotonda. Senza calcio avrebbe potuto fare il fotografo..."
Papà italiano, mamma del Congo, Elio però nasce in Uganda, nel 1996.
«Sì. Io ero lì per lavoro, conosco sua madre, ci innamoriamo. La situazione però è tesa, c’è la guerra, la prima nel 1995, poi nel 1998. Non c’è pace, per questo decido di far nascere mio figlio in Uganda. Una gioia enorme, anche se io non ero presente».
Voleva che suo figlio facesse il rugbista.
«Sfatiamo questo mito, l’ho letto ovunque (ride, ndr ). Io ho fatto il direttore generale della Rugby Roma per 8 anni, portavo Elio al Tre Fontane, ma non l’ho mai spinto verso la palla ovale».
Un pomeriggio i giocatori della Rugby Roma volevano convincerlo a calciare in mezzo ai pali, ma lui rispose: «Il pallone è rotondo».
«Appunto, il dubbio non si è mai posto. Ha iniziato a sei anni, quando sono tornato dall’Africa e lui, vivendo con la nonna, non aveva mai fatto sport. Sa come sono le nonne, hanno sempre paura di tutto».
Elio è rimasto molto legato all’Africa.
«Moltissimo, la sente sua. E non per il colore della pelle, come banalmente si potrebbe pensare. E’ italiano, è romanista, è africano. Semplice».
Come ha vissuto l’esordio?
«Lui era emozionato ma a posto, io meno. Mi diceva sempre che Di Francesco gli ripeteva di farsi trovare pronto che il suo momento sarebbe arrivato, ma io ci credevo poco. Poi, quando in tv ho visto Manolas toccarsi la coscia, ho pensato: “Finalmente tocca a lui”».
Vivete ancora insieme?
«Un po’ e un po’. Sta qui con me, ma ha anche una casa all’Eur più vicina a Trigoria. È un ragazzo semplice, non credo neanche sia fidanzato, anche se non è che alla sua età possa raccontare tutto al padre... Però a me piace seguirlo, siamo stati in Kenya insieme durante la sosta del campionato, io riparto tra qualche giorno, lui poi verrà, perché come dicevo prima ha l’Africa dentro. E se non avesse fatto il calciatore avrebbe fatto qualcosa legato al continente. Avrebbe potuto fare il fotografo, scatta immagini molto belle».
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