(Il Messaggero - M.Ferretti) Un signore vero. In campo, dove giocava (...) rispettando al massimo le regole e gli avversari, e fuori, elegante, educato, sempre sorridente e disponibile. Aldo Maldera, il terzino sinistro della Roma del secondo scudetto, è morto ieri a cinquantanove anni, stroncato da una malattia che se l’è portato via in pochissimo tempo. E la notizia della sua scomparsa ha lasciato senza parole gli amici, i suoi ex compagni e l’intero mondo giallorosso.
rassegna stampa
Morto Maldera, il terzino gentiluomo
(Il Messaggero – M.Ferretti) Un signore vero. In campo, dove giocava (…) rispettando al massimo le regole e gli avversari, e fuori, elegante, educato, sempre sorridente e disponibile.
Aldo arrivò nella Capitale dal Milan appena retrocesso in serie B nell’estate del 1982, voluto fortemente da Nils Liedholm che lo aveva avuto nella squadra rossonera che aveva conquistato la stella. E ci mise soltanto un paio di settimane per farsi voler bene da tutti. Lo chiamavano il terzino goleador perché con il Milan era andato parecchie volte a segno, 30 volte in 227 partite, interpretando il suo ruolo di difensore in maniera quasi rivoluzionaria: un terzino sì, ma anche un attaccante. Di certo, un esterno (...) bravissimo nell’accompagnare la squadra nella fase offensiva. Avanti e indietro sulla corsia sinistra per tutta la partita. In più, Aldo aveva una terrificante botta di sinistro e sui calci piazzati era un vero e proprio incubo per i portieri. Ne sa qualcosa, per dirne uno, il gigantesco Sivell, estremo difensore dell’Ipswich che, primo turno della Coppa Uefa 1982-83, venne bruciato da quell’indimenticabile punizione di Maldera che garantì alla Roma il complicato passaggio del turno.
Nell’anno del secondo scudetto, Aldo era uno degli intoccabili e pur di farlo giocare nel ruolo a lui più congeniale il Barone continuò a tenere Nela, mancino come Aldo, sulla corsia di destra. Una coppia di terzini di valore assoluto, in quella Roma. Una Roma capace di arrivare alla finale di Coppa dei Campioni che Maldera fu costretto a saltare perché squalificato. Restò in giallorosso anche senza il maestro Liedholm, cioè nel primo anno della gestione di Sven Goran Eriksson poi, a trentadue anni, passò alla Fiorentina dove rimase fino al termine della carriera, impreziosita da dieci partite con l’Italia.
Già prima di appendere gli scarpini al chiodo aveva deciso di stabilirsi nella sua adorata Fregene, insieme con la sua compagna Alessandra e le figlie Consuelo, Desirèe e Matilde. E, una volta indossati i panni del tecnico, aveva cominciato a fare l’allenatore, lavorando anche al Panionios in Grecia prima di tornare a Trigoria per guidare i ragazzini del vivaio giallorosso, compreso un giovanissimo Francesco Totti. Per lui, a seguire, avventure in un calcio meno famoso ad Aranova e Focene.
Era tornato al Bernardini il 24 febbraio scorso per stare accanto all’amica Marisa e a Luca il giorno dell’inaugurazione del campo Agostino Di Bartolomei: c’erano un sacco di compagni della sua Roma scudettata, Bruno, Sebino, Franco, Dodo, Ubaldo, Paolo Alberto e insieme con loro si era commosso. Ma aveva anche regalato tanti sorrisi a tutti. (...)
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