Sparate sul pianista Di Francesco, oppure è meglio non sparare, perché nulla cambierebbe. Eusebio, colpe ne ha. Ci mancherebbe, scrive Alessandro Angeloni su Il Messaggero. E’ entrato in uno stato confusionale che lo porta a dire certe cose e farne altre. Oggi il tecnico è distante da una squadra che aveva forgiato ben bene e che qualche risultato lo aveva prodotto fino al periodo nero di dicembre.
rassegna stampa
Il voltafaccia di Di Francesco
Dentro la crisi della Roma: un allenatore in bilico tra colpe e attenuanti, in confusione con calciatori spenti o demotivati. E una rosa inadeguata
La confusione di Di Francesco non è tattica, nel senso che non ci riferiamo al modulo: va bene il 4-3-3, va bene il 4-2-3-1, va bene (o male) tutto, il problema è che la squadra, in qualsiasi modo la si schieri, appare spaesata, fragile, prevedibile e inconsistente. Prima segnava poco, ora non tira in porta; prima non subiva gol, ora sembra la banda del buco e, alla minima criticità, crolla.
I calciatori, riguardando le partite, danno la sensazione di non seguire fino in fondo le direttive tattiche: perché non sono d’accordo o perché non ce la fanno. Certo, non è facile far girare a mille una squadra che ha il cinquanta per cento dei calciatori fuori condizione. La ricaduta, quella con il Milan, è peggio della malattia dicembrina. La confusione/involuzione non si vede solo in campo, l’origine ce l’ha anche nelle sue parole.
Ad esempio: sabato Di Francesco aveva detto che Schick e Dzeko non rendevano al meglio se schierati insieme, col Milan, zac, eccoli insieme per quasi tutto il secondo tempo. Di Francesco, da un punto di vista dialettico, era stato perfetto fino a poco tempo fa, anche nella fase rigida del mercato. La sua sincerità aveva ottenuto consensi. Quindi, quello che vediamo e ascoltiamo ora, è solo figlio della situazione: confusa questa, confuso lui. Ed è il primo a sapere che in certe situazioni, è il tecnico a doversi misurare con le proprio responsabilità. Sempre.
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