Mentre all’Olimpico rimbombava ancora l’eco delle parole di Spalletti, lui e Totti erano già a Trigoria. A ignorarsi. L’allenatore e il capitano di una Roma che dovrebbe godersi le sue vittorie, la corsa scudetto, la forza ritrovata e i gol di Dzeko e Salah, hanno ricominciato ad alimentare il loro grande freddo, scrive Matteo Pinci su "Repubblica". Quasi superfluo dire che Totti non abbia gradito di essere chiamato in causa da Spalletti per parlare del proprio rinnovo, attraverso quel criptico «se non gli fanno il contratto me ne vado». Il rischio di una nuova guerra fredda romanista è scivolato però silenzioso nella mattinata di Trigoria: i dirigenti a Milano per l’assemblea di Lega e Pallotta verosimilmente distratto dalle vicende dello stadio. L’ad Gandini e il dg Baldissoni non affronteranno il tema nemmeno oggi: la posizione del tecnico su Totti la conoscono, come quella sul prolungamento del contratto in scadenza il 30 giugno. «Fino a fine stagione non rinnovo», ripete spesso Spalletti.
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La tentazione Juve e l’ossessione Totti. L’insostenibile gelo tra Roma e Spalletti
Quasi superfluo dire che il capitano non abbia gradito di essere chiamato in causa dal tecnico per parlare del proprio rinnovo, attraverso quel criptico «se non gli fanno il contratto me ne vado»
Lo dice con la stessa disinvoltura agli amici e ai dirigenti, rassegnati per questo ad attendere. Non a perderlo: anzi, il suo legame con la città è una chiave che sperano abbia un peso, nella decisione dell’allenatore. Esattamente come la fascinazione per l’idea di vincere dove non vince nessuno da quando lui stesso sollevò l’ultima coppa Italia, 9 anni fa: farlo con un club dove i successi sono la normalità – la Juve, ad esempio – varrebbe uguale, per un orgoglioso come lui? E però sulla bilancia di una scelta senza ritorno («Quando si viene in una città come Roma poi è difficile tornare indietro», disse a settembre), sembrano pesare di più i motivi che lo spingono lontano. Le promesse non del tutto rispettate che Pallotta gli fece a Miami quando firmarono il contratto. Il timore di perdere giocatori importanti. E ovviamente la questione Totti, con le scorie che un anno fa ha prodotto in termini mediatici («Voi non mi siete simpatici», ha detto domenica ai cronisti) ma anche di pressioni da parte di qualche becero. Situazioni inaccettabili. Che non giustificano i riferimenti a Totti, ma spiegherebbero un secondo addio alla Roma. Spalletti ha confessato che, se decidesse di andar via, potrebbe pure stare fermo un anno. Ma un profilo come il suo fa gola: in Inghilterra l’Arsenal, in cerca dell’erede di Wenger, pare si sia già mosso. E chi lo conosce giura che la Premier lo affascinerebbe anche più di un’altra esperienza in Italia.
Ma la voce più ricorrente è un’altra: che la Juventus l’abbia messo in cima a una lista di tre nomi per il dopo Allegri. Al portoghese del Monaco Jardim e al viola Paulo Sousa, a Torino preferirebbero Spalletti, che ha già aperto («Sono un professionista, vado da chi mi chiama»). Sarebbe l’ultima mossa per rinforzarsi indebolendo una rivale diretta: quasi un Pjanic-bis. Il suo equilibrio Spalletti l’ha sabotato richiamando di propria iniziativa, dopo 5 vittorie consecutive, il tema-Totti.
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