rassegna stampa roma

La primavera di Roma

Redazione

(Il Romanista – P.Franchi) Lunedì sera, dopo la partita, sono caduto preda di un incontenibile soprassalto di luisenriquismo ideologico.

(Il Romanista - P.Franchi) Lunedì sera, dopo la partita, sono caduto preda di un incontenibile soprassalto di luisenriquismo ideologico.

No, non sto parlando di Roma – Genoa: non mi pare proprio il caso di mettersi a soppesare quanta “proposta” si sia vista in campo. Sto parlando proprio di lui, dell’asturiano, del suo giudizio, dei suoi commenti. Che hanno una forza di questi tempi quasi incredibile, la forza della verità. Bene, anzi, benissimo, il risultato. Molto meno bene, anzi, male, il gioco. Meglio il primo tempo, peggio il secondo? Io, che non ho obblighi di comunicazione, magari avrei detto così, perché così mi è sembrato e ancora mi sembra. Luis, che qualche obbligo di comunicazione lo ha, ma programmaticamente si rifiuta di comunicare banalità consolatorie, ha evitato ogni diplomazia: male tutti e due. Esagera? Forse sì, ma in questo caso esagerava anche quando elogiava la squadra anche dopo sconfitte che a noi sembravano desolanti, come quella di Firenze. (...).

Secondo un signore tedesco di nome Max Weber, che non era davvero un utopista, non si può ottenere il possibile se non si è in caccia dell’impossibile. Bene. Roma – Genoa è, al momento, il possibile. Ma se questa squadra non sognasse l’impossibile e non coltivasse un’utopia concreta, si perderebbe per strada senza riuscire nemmeno a sbroccolare (era già successo sabato scorso a Palermo) partite così. I giocatori, mi pare, lo hanno capito. E almeno per quello che ho potuto vedere lunedì mi pare lo abbia capito anche la gente di stadio, così diversa da quella che le partite le vede in poltrona. Non è una folla indistinta, non è la vivente coreografia di uno spettacolo televisivo. E’ una comunità, al momento non sterminata, di donne e di uomini, di pischelle e di pischelli, che coltiva certo una fede sperimentata nella gioia e (più spesso) nel dolore, ma anche un vigile spirito critico. Alla Roma è legata da un vincolo indissolubile. (...)

Ebbene, questa Roma, che pure va rafforzata, eccome, per puntare davvero in alto, la stanno convincendo che progetto e proposta sono, almeno in potenza, una cosa seria, non pubblicità a buon mercato. Di questa opera di convinzione un allenatore che parla il linguaggio della verità è un protagonista essenziale. “Rivoluzione” è una parola da usare con le molle, oltretutto sono parecchi anni che non va di moda. Adesso, e proprio in questa città di cui la Roma è er core, una città che non solo nel calcio tutte le ha viste e tutte le ha metabolizzate, sembra tornata in auge. La verità è rivoluzionaria, diceva Gramsci, uno che in carcere, dopo una sconfitta inaudita, su rivoluzione e consenso ragionò assai. Forse, chissà, l’asturiano non lo ha mai letto. Ma si comporta come se lo avesse studiato a fondo.