rassegna stampa roma

Castan: «È Zeman che comanda. E noi siamo con lui»

(Il Romanista – T.Cagnucci) «Castan come Piqué gioca una finale di un trofeo prestigioso, ma il brasiliano non lo definite un campione, mentre lo spagnolo è un top player. Perché?». Bella la domanda retorica di Walter Sabatini...

Redazione

(Il Romanista - T.Cagnucci) «Castan come Piqué gioca una finale di un trofeo prestigioso, ma il brasiliano non lo definite un campione, mentre lo spagnolo è un top player. Perché?». Bella la domanda retorica di Walter Sabatini quest’estate. Più bella la risposta che dà Leandro Castan alla fine dell’intervista: una risata. Con quella li seppellirà (Piqué e la definizione di top player) Leandro Castan, faccia da Jim Carrey che se lo lasci ti cancella, quella finale - di Coppa Libertadores - l’ha pure vinta, vincendo la cosa più grande di una squadra comunque gigante in Brasile come il Corinthians. Il Timao. San Paolo. Roba da filosofi.

Leandro Castan filosofo non lo è, pure a sentirlo parlare sembra quello che è in campo: quadrato e felice, con gli occhi vivi, i colori mori, ma con un peso specifico, con un non so che di maturo e sicuro che dà tranquillità. Difensore centrale lui, suo padre e suo fratello. Amen. Leandro Castan è - finora - per rendimento e nel rapporto qualità-prezzo, il miglior acquisto di Walter Sabatini da Marsciano, ma di più, con quella felicità che ha chi sta per diventare un’altra volta papà, è un giocatore di calcio che ha molte certezze.

Alcune le dice, altre le lascia capire. Ma sono certe quelle certezze. Qualcuna potrebbe sembrare spudorata se uno non vedesse la tranquillità con la quale la racconta. L’intervista è una specie di passeggiata, a Trigoria, verso il posto più bello del mondo.  Roma.

Tre mesi di qua, tre mesi di questa città: la cosa più bella?

Tutto. Roma è tutta bella, ma una cosa mi ha impressionato: è il Colosseo. Poi la cucina. Si mangia bene come a San Paolo, per me è importante.

Quello che ti piace di meno?

Il traffico, anche se meno rispetto a San Paolo. Ma è comunque troppo.

Il calcio. La Roma. Il massimo. La mia scelta importante. Cominciamo dal principio: Zdenek Zeman.

Un grande allenatore, che fa il suo calcio speciale. È un tecnico che sta facendo un grande lavoro con tanti giocatori nuovi, che sta cercando di trasmetterci le sue idee.

È vero che è più difficile giocare con Zeman per un difensore?

Beh, è evidente che il mister vuole attaccare sempre, la linea di difesa deve restare sempre alta. Penso che stiamo cominciando a comprendere cosa vuole. È chiaro che all’inizio ci sono state delle difficoltà.

Qualcosa non era stato capito?

Ma è normale. Col Corinthians giocavo coi quattro dietro schiacciati e poi via in contropiede. Qui giochiamo sulla linea di centrocampo. Però a me piace, il difensore partecipa di più al gioco. Penso che possa essere anche divertente per me, tanti duelli uno contro uno.

Si è infortunato Balzaretti: puoi giocare a sinistra?

Non è la mia posizione, ma io sono giocatore di gruppo, io gioco dove dice Zeman.

Con la Seleçao hai giocato lì, però?

È stata una partita, è stato per necessità. Una gara va bene, poi se è l’esordio col Brasile (sorride). Però io sono difensore centrale.

È diverso giocare con Burdisso o Marcos come compagno di reparto?

La differenza è la lingua, Nicolas è argentino, con Marcos poi abbiamo giocato insieme già nel Corinthians. Ma sono due giocatori di qualità, e poi Burdisso è un esempio.

Di cosa?

Di professionalità.

Burdisso è un leader anche se non gioca?

Sì. Burdisso va ascoltato già per la sua esperienza, ed è bello vederlo dare dei consigli a Marquinhos.

Al Corinthians c’era anche Dodò: come sta?

Glielo chiedo sempre io, ogni giorno che ci vediamo. Faccio tanto il tifo per lui. Quando si è infortunato è venuto a fare la fisioterapia al Corinthians, ho visto tutto il suo cammino, il suo calvario, ho visto il suo ginocchio gonfio, e adesso non vedo l’ora che ritorni: non credo che ci sia qualcuno che più di lui meriti di rientrare a giocare dopo tutto quello che ha passato.

Ma com’è Dodò?

È forte. E’ un giocatore di grande qualità. Al Corinthians aveva un certo Roberto Carlos davanti, apposta è andato al Bahia e lì ha fatto grandissime cose. Una grande stagione che io spero e credo possa ripetere alla Roma.

Castan, Marcos, Dodò, che significa essere "corinthiani"?

Ti dico: nella mia carriera c’è stato un prima e un dopo il Corinthians, devo tutto al Timao. Alla fine anche il fatto di stare qui.

Cos’è la democrazia corinthiana?

È storia, è qualcosa che "marca" il club, è stato un esempio unico di qualcosa di grande, di nuovo e vincente, qualcosa che ha fatto la storia così come noi l’abbiamo fatta vincendo la prima Coppa Libertadores della società. Anche questo unisce il mio Corinthians a quello che vinse autogestendosi, senza allenatore, senza capi.

Il filosofo di quella democrazia fu Socrates, da poco non c’è più, un pensiero.

 A Socrates col Corinthians abbiamo dedicato tutto. È stato troppo importante... Eravamo in ritiro quando è morto, ci stavamo preparando per l’ultima partita del campionato contro il Palmeiras. Ci siamo svegliati la domenica mattina con la notizia della sua morte, abbiamo giocato una partita speciale: è stata quella che ci ha fatto laureare campioni del Brasile. È stato per lui.

Cosa ti ha detto Sabatini per convincerti a venire alla Roma?

È bastata una telefonata, nel senso che il primo contatto è stato telefonico, poi ha incontrato mio padre che è venuto a Roma per conoscere il club e ha avuto immediatamente una grande impressione. Walter ha insistito molto, mi ha dimostrato un vero interesse. Calcola che non è stata una trattativa facile, il Corinthians non voleva liberarmi.

Ma cosa ti ha raccontato Sabatini?

La storia della Roma, d’altronde la Roma in Brasile è una squadra molto conosciuta, popolare. Mi ha parlato di questa storia e della possibilità di crescerci dentro.

La storia della Roma: tu hai il cinque di Paulo Roberto Falcao.

Un onore. L’ho conosciuto di persona la domenica della partita contro l’Atalanta. Quel giorno ho conosciuto anche Aldair, quando l’ho visto mi sono innervosito, intimidito. Aldair e Falcao sono due icone della Roma e del Brasile. È un onore, un grande onore per me.

Il tuo modello in campo?

Juan. Ho sempre avuto lui come riferimento, guardavo e imparavo da lui. Il suo modo di giocare è carico di cose da dover osservare. Ripeto, ho imparato tantissimo solo guardandolo.

L’attaccante più forte che hai incontrato?

In Italia finora dico Cassano, è molto intelligente in campo. In Brasile Damiao e Neymar.

Neymar a che livello lo collochi nel mondo?

Prima ci sono Messi e Cristiano Ronaldo, lui sta un po’ sotto.

Pelè o Maradona?

Pelè (ride).

La tua partita più bella?

Quella che devo ancora giocare. Sono molto critico con me stesso.

Sei molto critico: perché la Roma inizia male le partite?

È difficile dirlo, non lo so. Ne dobbiamo parlare bene tra di noi.

De Rossi e Osvaldo si allenano bene?

Benissimo. Sono due grandi giocatori che fanno gruppo, che fanno spogliatoio, che sono ben voluti nel gruppo. Purtroppo quando i risultati sono così e così escono le polemiche.

Ma il gruppo della Roma è unito? La Roma segue Zdenek Zeman o non ci crede?

Sì, assolutamente. Il gruppo della Roma è fechado (letterale, ndr), chiuso, blindato. I giocatori della Roma credono all’allenatore della Roma ed è importante visto come giochiamo, altrimenti sarebbe dura. È lui il boss. È lui che comanda.

Qual è l’obiettivo di questa Roma?

Vincere. Una squadra come la Roma quando partecipa a una competizione lo fa per vincere, non per altro. Evidentemente siamo consapevoli che la Juve in questo momento ha dei punti più di noi, che siamo ancora un po’ lontani, ma noi dobbiamo lottare per avvicinarli il più possibile. L’obiettivo è non smettere mai di salire. La Roma ogni partita che gioca deve giocarla per vincere, di conseguenza - se ci riusciamo - lottiamo automaticamente per il titolo.

Mettiamola così: chi vince lo scudetto?

Diciamo così: la Juventus è favorita. Lasciamole il ruolo di favorita e noi dietro a inseguire...

Che cosa insegue Castan?

La fede.

Sei un Atleta di Cristo. Che significa? Perché?

Mi viene da bambino, mi viene dall’educazione, da mio padre, da mia madre. Ogni cosa che faccio nel mio lavoro, così come nella vita privata, io sento Dio, sento che mi aiuta. Che c’è. In qualsiasi esperienza della mia vita.

Che esperienza è stata in Svezia all’Helsingborg, a poco più di 20 anni?

L’anno che sono passato professionista con l’Atletico Mineiro è stato l’anno in cui mi scadeva il contratto e mi è arrivata questa proposta dall’Europa. Il mio agente di allora mi aveva detto che poteva essere un trampolino per me, in realtà quando sono arrivato lì in Svezia ho trovato una situazione molto diversa da quella che mi avevano descritto, prendevo anche la metà dello stipendio pattuito. Ho avuto una serie di problemi e sono tornato presto in Brasile. Meglio così...

Meglio aver fatto il calciatore: cosa avresti fatto altrimenti?

Il calciatore. Ho sempre giocato a pallone, da quando avevo 5 anni. Mio padre era un giocatore di calcio, io sono un giocatore di calcio. Mio fratello Luciano gioca a calcio. E tutti sono difensori.

E’ forte Luciano?

Ha 21 anni, ne sto parlando con Sabatini (ride).

Al termine della carriera che cosa immagini di fare?

Sempre qualcosa legato al calcio. Non riesco a immaginarmi lontano dal pallone. Sicuramente vorrei dedicare i miei anni alla famiglia. Stare a casa.  Leggere...

Il libro della vita?

La Bibbia.

In Brasile il calcio è sempre stato popolo e allegria, sai che cos’è la Tessera del Tifoso?

Cosa?.

Perfetto. L’ultima: sei più forte tu o Piqué?

 Ride Piqué. Ha vinto molto, è un top player...