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«Stadio o non stadio»? Il Pd in confusione e dal vertice arriva una frenata

Il rumore più nitido che esce dalla riunione fiume del Pd capitolino somiglia molto a quello dei freni.

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Non siamo proprio al «contrordine, compagni», ma — sullo stadio di Tor di Valle, di proprietà di James Pallotta, nuova futuribile «casa» della Roma — il rumore più nitido che esce dalla riunione fiume del Pd capitolino (segreteria romana, parlamentari, consiglieri comunali, esponenti del Pd laziale) somiglia molto ad una bella frenata. Arrivata, forse, fuori tempo massimo, dopo che Marino ha già presentato il progetto in Campidoglio, è volato in America per incontrare il presidente giallorosso, la maggioranza in aula Giulio Cesare si è espressa con un «sì» seppur condizionato. Però, in qualche modo, quello dei Democratici è un segnale.

È il tentativo, fatto dal principale partito della Capitale, di rimettere la barra al centro, dopo un dibattito definito dal capogruppo in Campidoglio Francesco D’Ausilio «disordinato», condotto a suon di dichiarazioni che si contraddicevano l’uno con l’altro. Un dibattito dal quale è emerso un partito confuso e che — come chiosa alla fine la renziana Lorenza Bonaccorsi — «avremmo dovuto fare due mesi fa: ora già dovremmo parlare di sblocca Italia, di aeroporto di Fiumicino». Una volta si sarebbe chiamata «autocritica». Che giunge al termine di una lunga seduta psicanalitica, condotta a porte chiuse (ma con molti spifferi...) nella sede (ancora per poco) di via delle Sette Chiese. Proprio D’Ausilio, all’inizio, affonda il colpo: «Con l’abbraccio che c’è stato — dice — tra amministrazione pubblica e privati, abbiamo dato l’impressione che la cosa fosse già fatta».

E, osserva il capogruppo, «anche il recente viaggio del sindaco a New York è stato criticato». Lì, secondo i democrat, l’intesa raggiunta tra Marino e Pallotta su opere pubbliche e cubature «era scritta sull’acqua» e andava «raddrizzata». Così, nonostante il via libera condizionato dato l’altro giorno dalla maggioranza, ecco la frenata e i distinguo. Con Lionello Cosentino, segretario romano, che calca l’accento sul fatto che «si parla di un investimento privato», che «ancora non siamo al preliminare o ai progetti definitivi», che per realizzare lo stadio «devono esserci determinate condizioni». Quali? La clausola rescissoria da 160 milioni e il «vincolo indissolubile» tra stadio e squadra. Difficile, invece, agire sulla proprietà.

A meno che, come propone il deputato Marco Di Stefano, «non si riesca a modificare la legge». Non è uno stop — domani, in giunta, arriverà comunque il sì «con prescrizioni» alla dichiarazione di interesse pubblico — ma sicuramente una presa di distanze. Non solo dal progetto stadio in sé, che presenta molti punti di criticità (lo snodo della metro, i parcheggi, la sorveglianza del parco, gli standard urbanistici, i tempi di realizzazione). Ma anche, pare di capire, dalla stessa amministrazione. Che sì, come dice Cosentino, «si è mossa in maniera trasparente». Ma che, allo stesso tempo, avendo messo «cappello» sullo stadio, rischia di ritrovarsi l’effetto boomerang qualora le cose andassero storte.