In uno dei momenti più delicati della storia della Roma, scrive Paola Di Caro sul Corriere della Sera, alla fine di una stagione in cui società, management, tecnici, preparatori, medici e calciatori hanno sbagliato, è comprensibile sfogare rabbia e dolore.
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Il bene comune al di sopra delle guerre interne
Tutto passa ma la Roma resta, al di là degli uomini che ci sono, ci sono stati e ci saranno
Lo è per i tifosi, costretti ad assistere a un gioco brutto, a un 7-1, al ritardo e alla confusione con cui sono state prese o non prese decisioni. Ma, oltre a loro, nessuno è senza colpa. Nessuno può alzare bandiera bianca, se non nell’attimo in cui chiude il metaforico armadietto e se ne va.
Nessun dirigente ha il diritto di combattere una guerra privata - a Boston, Londra o Trigoria - sulla pelle della Roma. Nemmeno - è dura dirlo - il più glorioso giocatore. Dovremmo ricordarcelo mentre ci prepariamo a dire addio a un pezzo di noi: tutto passa ma la Roma resta, al di là degli uomini che ci sono, ci sono stati e ci saranno. È la Roma il bene comune da tutelare. Da chi comanda, esegue o semplicemente la ama. Se la ama davvero.
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