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Roma, l’elogio della mediocrità

LaPresse

Dopo la sconfitta con la Juve è partito l'autocompiacimento, eppure si tratta dell'ennesima sconfitta a Torino. E ritornano in mente le parole di Spalletti dopo la partita col Real...

Francesco Balzani

La sconfitta ai tempi del social. A volte porta reazioni di stizza, di rabbia, può pure partire la sana rosicata e la presa in giro con l’avversario. Nel caso di parte della rosa della Roma, invece, la sconfitta suscita l’autocompiacimento. A pochi minuti dalla sconfitta sul campo di una delle nemiche storiche per antonomasia (che avremmo anche tollerato e non biasimato) ecco comparire cuori e auto applausi. “Grande lavoro di tutti”, gioisce Borja Mayoral che che porta a casa il numero zero dei tiri in porta. Contento pure Kumbulla portato come una borsetta in giro per il campo da Cristiano Ronaldo: “Buona prova di squadra, dobbiamo continuare a lottare uniti per crescere”. Tra i peggiori in campo pure Veretout che però se la gode perché “abbiamo lottato alla pari con i campioni”.

Forse si tratta di fake. No. Forse sono post datati. No. Così anche la voglia di non commentare una sconfitta che ci può stare, ci riporta a porci delle domande inquietanti. Se la Roma fosse il Pordenone potremmo anche essere d’accordo con la serenità di Borja o Kumbulla. Ma la Roma è la Roma, la squadra che fino a un minuto prima della partita era sopra la Juventus. Il club che per anni a Torino ha combattuto davvero col coltello tra i denti subendo torti arbitrali, insulti, soprusi. Vincendo pure, perché non è impossibile battere chi è più potente di te. E non ci riferiamo all’amichevole estiva dello scorso agosto. Per Falcao era un “derby nazionale da non perdere mai”, per Zeman “una crociata”, per Totti “la partita più bella da vincere”, per Nainggolan “il nemico numero uno”, per Giannini o Aldair il motivo di tante lacrime e tante bestemmie negli spogliatoi (i social non c’erano).

Ma usciamo da discorsi romantici, abbiamo capito che la storia della Roma a Trigoria non la studiano da anni. L’elogio della sconfitta è l’espressione più disarmante della mediocrità. Perché va bene De Coubertin, va bene partecipare. Ma vantarsi di perdere no, non ci era arrivato nemmeno il pedagogista francese. Ci rivengono in mente le parole di Spalletti di qualche anno fa. Quando il tecnico toscano si incazzava per i troppi elogi dopo la sconfitta per 2-0 col Real Madrid. Ha tanti difetti Luciano, ma era uno che non ci stava a perdere. Il principio dello sport, il valore di chi ha a cuore qualcosa. Si spegne sul nascere quindi qualsiasi tentativo di giustificare una sconfitta meno rovinosa di Bergamo, Napoli o del derby.

Ma sempre di una sconfitta pesante si tratta. L’ennesima a Torino, l’ennesima contro una diretta concorrente per una tifoseria che ha vinto poco ma godeva qualche volta per le imprese contro le big. Lo ricorda bene chi era all’Olimpico in quel Roma-Juve con gol di Muzzi nel finale, o chi si stropicciava gli occhi per il 4-1 all’Inter nel 1992. Per non andare troppi lontani ricordiamo il 5-0 al Milan di Capello o ancora più recente la remuntada col Barcellona. Anche all’epoca la Roma non era più forte del suo avversario, ma la paura di perdere diventava coraggio. Oggi la paura di perdere non c’è. Non si aspetta la pacca sulla spalla dopo la sconfitta.

Perché la pacca te la da il social media manager che ti consiglia un post così umiliante per chi Roma-Juve l’ha sempre vissuta come una sfida da non dormirci la notte. Ci si compiace per 2 corner battuti in più, per non aver subito un poker pure da Ronaldo che vedendo i post stanotte se la starà ridendo alla grande. Della famiglia del Mulino Bianco obiettivamente frega poco a tutti. Litigate pure, ma arrabbiatevi per le sconfitte. “La vittoria ha moltissimi padri, la sconfitta è orfana”, disse in un celebre discorso Kennedy. Sbagliava: nella Roma di oggi anche la sconfitta è contesa.