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Roma, due giorni alla scadenza dell’Opa: ecco perché aderire

LaPresse

I Friedkin preparano il delisting, ma chiedono un passo indietro ai piccoli azionisti. L'offerta scade il 6 novembre, poi le azioni potrebbero perdere valore ulteriormente

Valerio Salviani

Ambizione, investimenti, presenza costante. Il biglietto da visita con cui i Friedkin si sono presentati nella capitale è di quelli importanti. L’obiettivo di Dan e Ryan è portare la Roma ai massimi livelli del calcio europeo. Il delisting è il primo dei passi con cui intendono attuare il loro programma. Due giorni ancora, poi l’uscita da Piazza Affari potrebbe essere realtà. È quello che la società si augura. Venerdì 6 novembre scadrà la possibilità per i piccoli azionisti di aderire all’offerta pubblica di acquisto lanciata dai Friedkin sul flottante. Attualmente proprietari dell’86,4% del capitale societario (la quota acquistata da Pallotta lo scorso agosto), i texani hanno bisogno di raggiungere il 95% per ottenere l’uscita automatica dalla borsa, che può comunque essere formalizzata con una percentuale minore, avendo i Friedkin già manifestato l’intenzione.

Attualmente solo l’1,1% degli azionisti ha deciso di accettare l’offerta di 0,1165 euro per azione promossa dai Friedkin, che sperano di mettere mano a una percentuale superiore nelle ultime ore prima della chiusura. Diversi azionisti tengono duro, ma la scelta guardando al futuro può rappresentare un rischio.

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Ci sono almeno tre buoni motivi per decidere di rimettere le azioni in mano ai Friedkin. Prima di tutto l’aumento di capitale di 210 milioni, già programmato (scadenza 31 dicembre 2021), che in assenza di un’adesione all'opa, diluirebbe ancora di più la percentuale in mano agli azionisti. Eventualità che potrebbe ripresentarsi in caso di nuovi aumenti di capitale, da non escludere. In seconda battuta, va valutata l’eventualità che la Roma riesca comunque a uscire dalla Borsa (possibile anche attraverso il ricorso alla fusione). In questo caso l’investitore non potrà più vendere in futuro i suoi titoli attraverso gli intermediari bancari e finanziari, ma avrà bisogno di un privato con cui contrattare la cessione. Terzo, ma non meno importante, il bene del club. Molti dei piccoli azionisti sono innanzitutto tifosi, che avevano deciso di investire nella Roma sperando di poter partecipare alla crescita della società. I Friedkin considerano un punto fondamentale il delisting. Ecco perché un passo indietro degli azionisti è ritenuto fondamentale.

Per analizzare la situazione, dunque, serve guardare alla luna e non al dito. La scelta di uscire dalla borsa per la Roma è l’unica sensata nel momento storico attuale. Il patrimonio del club continua a essere in perdita, aggravata negli ultimi mesi dalla crisi per la pandemia mondiale. Per pianificare una risalita e una ristrutturazione economica serve un azionista forte e indipendente. Dover dare conto al mercato attualmente è un freno per i Friedkin. Ed è un rischio per i piccoli investitori perseverare tenendo le azioni nel portafoglio, visto anche il momento tremendamente complicato che il mondo calcio (così come l’economia globale) sta vivendo. I 247 milioni con cui era stato valutato il club all’entrata a Piazza Affari adesso sono utopia. Per la borsa oggi la Roma vale 95 milioni e senza la possibilità di strutturare un nuovo piano finanziario efficace, questo valore è destinato a scendere.