rassegna stampa

Anche per la Cassazione “romanista ebreo” non è reato

Per la Corte l'espressione "ha la finalità di deridere la squadra avversaria ed è ricollegabile allo storico antagonismo"

Redazione

Il ricorso in Cassazione è stato rigettato: anche per gli ermellini intonare il coro "giallorosso ebreo" non è un reato. La Corte suprema, come riportato nell'edizione odierna de "Il Tempo", ha infatti reso noto l’esito relativo al ricorso sulla sentenza pronunciata 8 mesi fa dal gip Ezio Damizia, il giudice che aveva assolto due tifosi laziali accusati di aver urlato "giallorosso ebreo, Roma va a c..à". Perché secondo il giudice per le indagini preliminari "il fatto non sussiste".

Ma andiamo con ordine, partendo dal 30 marzo del 2013. Era il giorno in cui moriva Franco Califano e all’Olimpico la Lazio ospitava il Catania. I biancocelesti, allora guidati dall’allenatore bosniaco Vladimir Petkovic, avrebbero strappato una vittoria ai siciliani subendo un gol e bucando per due volte la rete avversaria. Una partita come tante se non fosse che, durante l’intervallo, dagli spalti era partito un coro che, successivamente, gli uomini della Digos avrebbero giudicato essere "razzista". "Giallorosso ebreo, Roma va a c..à", si poteva udire porgendo le orecchie verso la curva nord tra le 15:38 e le 15:39. Si trattava di un coro che era stato immortalato dalle telecamere di sorveglianza che solitamente monitorano ciò che avviene all’interno dello stadio Olimpico. E non solo. Perché quel giorno i fotogrammi catturati dagli inquirenti avevano immortalato con precisione i fomentatori di quel coro. Dunque non era stato difficile per gli uomini della Digos individuare i due tifosi. E una volta acquisiti i nomi dei due era scattata la denuncia. E poi le indagini, le stesse che avevano condotto gli inquirenti fino alle abitazioni degli indagati, due ultras della Lazio. Durante le perquisizioni, nella casa di uno dei due tifosi era stato anche ritrovato un manganello retrattile e un manifesto raffigurante l’immagine di Alessandro Alibrandi, il terrorista, proveniente dall’ultradestra capitolina degli anni Settanta, il cui ricordo avrebbe in seguito (due anni dopo) suscitato commozione in Massimo Carminati, quando, durante il processo al Mondo di Mezzo, affermava di non rinnegare l’amicizia con Alibrandi. Ma questa è un’altra storia. Nulla a che vedere con i cori pronunciati quel giorno all’Olimpico. Anche se in vero, proprio quel manifesto che ritraeva il terrorista nero aveva convinto maggiormente gli inquirenti circa le intenzioni razziste dei due ultras.

Così gli indagati erano presto stati accusati dalla procura di Roma. "Istigazione all’odio razziale" l’accusa mossa nei confronti dei due. Un reato smontato dal gip, e adesso anche dalla Cassazione: "Il fatto non sussiste". Perché anni dopo, giunti in aula, i due erano stati assolti. Nel motivare la sentenza il giudice di piazzale Clodio aveva spiegato che "l’espressione giallorosso ebreo ha la finalità di deridere la squadra avversaria ed è ricollegabile allo storico antagonismo" fra le due compagini capitoline. E non è tutto. Il tribunale aveva dunque sottolineato che l’espressione e le parole usate all’Olimpico dagli imputati "rimangono confinabili nell’ambito di una rivalità di tipo sportivo". E ancora: "Sebbene l’accostamento giallorosso con ebreo possa aver assunto nelle intenzioni del pronunciante valenza denigratoria, ricollegabile latamente a concetti di razza, etnia odi religione – continua il gip nelle motivazioni – le modalità di esternazione non costituiscono alcun concreto pericolo di diffusione di un’idea di odio razziale e di superiorità etnica".

Il coro, in buona sostanza, "aldilà della scurrilità – si legge nella sentenza – esprime mera derisione sportiva". Insomma è uno sfottò che deve essere ricondotto al clima da stadio. Una motivazione che adesso viene sbandierata anche dagli Irriducibili della Lazio in relazione agli adesivi attaccati in curva sud e che ritraggono Anna Frank con la maglia della Roma: "Si tratta di scherno e sfottò da parte di qualche ragazzo – affermano gli ultras biancocelesti – perché in questo ambito dovrebbe essere collocata questa cosa, anche in virtù del fatto che, come da sentenza di tribunale, non è reato apostrofare un tifoso avversario accusandolo di appartenere ad altra religione. Ma evidentemente nemmeno la Figc se ne ricorda se è vero che hanno aperto un’inchiesta". Chissà se la procura di Roma la pensa allo stesso modo. Intanto in merito ai discussi adesivi, la Digos ha già inviato in procura un’informativa: 16 persone sono state denunciate. Tra loro 3 minorenni.