rassegna stampa

Raggi, il pm chiede 10 mesi: “Mentì per non dimettersi”

L'attesa per la sentenza che dovrebbe arrivare oggi in serata è forte. Di Maio: "Non conosco l'esito del processo ma il nostro codice di comportamento parla chiaro e lo conoscete"

Redazione

Si conclude la requisitoria del processo in cui il sindaco di Roma, Virginia Raggi, risponde di falso in atto pubblico per aver dichiarato all'ufficio anticorruzione comunale, che aveva chiesto chiarimenti per conto di Anac, che fu lei a scegliere di promuovere Renato Marra a capo dipartimento e non il suo braccio destro (e fratello del vigile urbano) Raffaele, come riporta Il Messaggero. Una promozione che aveva fruttato al vigile un cospicuo aumento di stipendio ed era stata discussa con l'assessore al Turismo, Adriano Meloni, giusto mezz'ora prima che si chiudessero i termini per il concorso interno.

Il sindaco perde l'ottimismo con cui ha seguito l'intero processo, esce di corsa dall'aula e quando rientra, pochi minuti dopo, chiede all'avvocato di poter rispondere agli inquirenti: "Voglio specificare che nella prassi l'espulsione non è mai stata applicata, sia Nogarin che Pizzarotti, indagati, non furono espulsi. Pizzarotti fu sospeso perché omise di comunicare che era stato iscritto nel registro", dice sostenendo poi - e finendo per scontrarsi con i pm che la smentiscono - che lei stessa era già indagata per un'altra vicenda nel corso della campagna elettorale.

Al di là del battibecco in aula, sia il sindaco sia, soprattutto, il resto del Movimento Cinquestelle non nascondono l'ottimismo per la decisione che dovrà prendere il giudice monocratico, Roberto Ranazzi. Certo del fatto suo, Luigi Di Maio ha ripetuto anche ieri che in caso di condanna la carriera di Virginia Raggi si chiuderà in tempi brevi: "Non conosco l'esito del processo ma il nostro codice di comportamento parla chiaro e lo conoscete".

L'attesa per la sentenza che dovrebbe arrivare oggi in serata è forte, si respira anche nell'aula di tribunale affollatissima. "Su questo processo ci sono troppi pesi, invece è giusto fare un processo come se questi pesi non esistessero. È il senso del lavoro del magistrato e del processo: la legge deve essere uguale per tutti", conclude Ielo. Un ulteriore macigno sulla scrivania del giudice.