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Monchi: “Con la Roma solo semplici contatti. Spalletti? Il suo è un lavoro magnifico”

Il dirigente spagnolo ha parlato delle sue sensazioni e del suo futuro: "Dei giallorossi preferisco non parlare perché non sono lì". Poi il racconto della sua vita privata e delle decisioni che lo hanno portato a dire addio al Siviglia

Francesco Iucca

E' uno degli uomini più chiacchierati nel mondo del calcio. L'ormai ex direttore sportivo del SivigliaMonchi non ha ancora ufficializzato il suo futuro, con la Roma che aspetta di accoglierlo a braccia aperte. Il dirigente spagnolo ha parlato del suo momento e delle sue sensazioni in una lunghissima intervista a estadiodeportivo.com.

Ha parlato di Emery, le piacerebbe lavorare di nuovo con lui?

Con Unai ho lavorato tre anni e mezzo in maniera magnifica. Abbiamo avuto una simbiosi brutale e raggiunto traguardi inimmaginabili. Mi piace lavorare con lui perché è un grande allenatore e ai direttori sportivi piacciono gli allenatori bravi. Ma ho avuto molti buoni tecnici e direi lo stesso di Marcelino o di Juande Ramos. Unai è l’ultimo che ho avuto e quindi quello che ricordo di più.

Una delle discussioni è stata su Konoplyanka.

Sicuramente abbiamo discusso su Yevhen e su molti altri giocatori. Ma io e Unai abbiamo deciso che nelle discussioni a porte chiuse dovevamo dirci quello che pensavamo, mentre fuori avremmo difeso il club.

E Spalletti?

Della Roma preferisco non parlare perché non sono lì. C'è un direttore sportivo che è Massara e sta lavorando lì. Non è giusto né opportuno parlarne. Non parlo di quello che non so. Conosco il lavoro di Spalletti e so che sta facendo una grande stagione. Non abbiamo avuto più di un paio di contatti, per parlare di quello che loro vogliono da me e di quello che io posso dargli.

Real Madrid e Barcellona l’hanno chiamata?

A me direttamente non ha chiamato nessuno. Qualche agente ha provato l’approccio, la mia risposta è stata che non ho l'età per girare intorno alle cose ma solo per cose serie.

Parlando al Monchi sevillista, cosa succede alla squadra?

C'è un momento di dubbio per l'eliminazione dalla Champions che ci ha fatto un gran danno. Un danno perché in precedenza siamo arrivati con molta attesa a quella partita, ma la squadra ha ottenuto risultati positivi. Poi i dubbi sono sorti.

In 17 anni da direttore sportivo non ha mai negoziato con il Betis. Ma se andrà a Roma, la prima cosa che dovrà fare è chiamare Torrecilla per Sanabria.

Se dovessi parlare con il Betis non ci sarebbero problemi. Ho negoziato con Miguel quando era al Celtic. E’ un ragazzo super professionale. Non ci ho pensato. Se dovrò andare a vedere una partita del Betis da direttore sportivo di una squadra ‘x’ che non sarà il Siviglia, ci andrò allo stesso modo.

Si sente sente già liberato da tutta questa stanchezza che l’ha spinta a fare il passo di dire addio al Siviglia dopo 29 anni?

No, ho sensazioni diverse da quelle che avevo. La mia mente non ha ancora assimilato la realtà. Informazioni, notizie, stanno andando molto più velocemente della mia mente. Non ho potuto ancora comprendere la realtà. Sono ancora in questo processo, per cui è ancora presto per valutare l'effetto che ha avuto questo cambiamento.

Come ha vissuto tutta questa catarsi nel corso dell'ultimo anno?

Ho potuto staccare un po’, ma al di là di questo la mia idea era già chiara. Ma alla fine, dopo tanti anni, ci sono stati molti test, non solo sportivi, ma anche personali, che ho superato. L'obiettivo era quello di avere un'idea chiara che non influenzasse ogni mia giornata. Da un lato la volontà di lasciare, un’idea che avevo già chiara, dall’altro il non perdere tutto il coinvolgimento quotidiano con la società.

Crede di essere stato troppo al centro dell'attenzione mediatica?

Sì, troppo. Ma il personaggio c'è e forse anche io avrò avuto le mie responsabilità, magari non ho gestito bene i tempi. Ma dal momento che tutto ciò è nuovo per me, mi servirà come esperienza per il futuro. Ho cercato di fare le cose nel modo migliore possibile, valorizzando tutto, ma ho sbagliato tanto. Anche se sono stato al centro delle notizie più di quanto mi sarebbe piaciuto, in parte è inevitabile.

In tutta questa situazione cosa pensa di aver sbagliato?

Se dovessi tornare indietro, forse misurerei di più le cose. Ovviamente, la prima istantanea è quella di maggio, avrei potuto fare meglio. Da lì, ci ho provato. Ma, per quanto si possa essere forti, non si può ignorare una realtà intrinseca che ci si porta dentro.

Sta avendo l’addio che aveva sperato?

Per quanto riguarda i tifosi? Sto ricevendo più di quanto pensassi. L'affetto e la gratitudine stanno superando quello che immaginavo. Quanto al Siviglia, non deve restituirmi niente. Mi ha già dato tanto, mi ha dato tutto.

Avevo paura di questo, quale sarebbe la risposta al mondo sevillista?

Paura? Mi sarebbe dispiaciuto molto dopo tutto questo tempo. Ma ho capito al momento giusto, e ho fatto mio questo pensiero, che accontentare tutti è impossibile. Ho accolto bene questa notizia e ho anche apprezzato che c’era gente che non lo capiva, non lo accettava e criticava questa scelta.

E in cosa pensa che la società abbia sbagliato? Il presidente sembra l’unico a non sapere del suo addio.

Non credo che il Siviglia abbia sbagliato. Al contrario, penso che mi abbia dato quello che mi serviva, quello che volevo. Ma questo è qualcosa che alla fine nessuno voleva che succedesse, neanche io. E’ qualcosa di cui avevo bisogno, ma che non volevo. E’ per questo che non è motivo di felicità per me, ma di dolore. E il Siviglia, nella stessa concatenazione di eventi, stava cercando di allungare questo momento nel caso io, come le altre volte, ci ripensassi.

Per lei c’era un momento giusto per andare via?

Credo di no. Vedendo le circostanze, mi avrebbero cacciato perché le cose non stavano andando bene. Alla fine non ce ne si rende conto al termine della stagione, perché è tempo di pianificare. Ma ovviamente neanche durante la pianificazione, perché stai pianificando. Dopo la pianificazione no, perché sei responsabile e ti devi assumere le tue colpe. Poi arriva il mercato invernale… Quando uno non vuole che qualcosa accada, allora diventa così.

In che misura ha pesato l'eliminazione dalla Champions agli ottavi?

No, avevo già largamente riflettuto. Si potrebbe aver pensato che non fosse il momento giusto visto che ci stavamo giocando la Champions, ma la decisione era stata già presa, già ne avevo parlato, discusso e l’avevo comunicata in precedenza. Non ha nulla a che fare con questo. Se fossimo passati ai quarti, un pensiero che ancora mi tormenta, avrei rimandato la questione ma la mia decisione non sarebbe cambiata.

In questi giorni l’abbiamo sentita dire che lei ricorda l’infanzia del suo figlio maggiore, ma non quella di sua figlia. Questo spiega parte della sua stanchezza?

Sì, è giusto. L’infanzia di Alejandro, che è nato nel ’93, che ha vissuto praticamente tutta la mia fase in cui sono stato calciatore, che è una vita più comoda che ti permette di avere più tempo libero. Il Siviglia non giocava sfortunatamente neanche in Europa e io avevo ancora più tempo. Maria invece è nata proprio quando mi sono ritirata, proprio nello stesso mese. E’ cresciuta nell’anno seguente che per me è stato terribile in termini di mole di lavoro, poi è arrivata la stagione da direttore sportivo. Ed è vero che ne ho parlato molto a casa con mia moglie. Di Alejandro ricordo tutto, quando si vestiva durante le feste… Con Maria faccio più fatica, a meno che non possa guardare le foto. Non tanto per il tempo, ma per la capacità della mia mente di distinguere. Poi, durante la sua adolescenza, è stato diverso perché Alejandro è andato a Madrid. Però è un dovere da padre ed è qualcosa che volevo restituire a loro in forma di gratitudine. Questo in parte è stato uno dei motivi di quello che mi è successo. Alla fine riuscirò a convincermi al cento per cento che i motivi sono stati solo questi. Ci saranno persone che non capiranno o altre che lo useranno in maniera populistica per dire che stanco è chi lavora 8 ore al giorno per qualsiasi cosa. Ma non io. L’altro giorno mi ha mandato un messaggio Coke, a nome di tutti gli altri giocatori, e mi diceva: “Monchi, ti capisco perché ho visto la tua faccia così tante volte dopo una sconfitta che non ho bisogno di spiegazioni. Ti conosco”. Chi mi conosce sa perché me ne sono andato, perché sanno che le mie capacità di sopportazione erano arrivate al limite, che mi stavo ammalando. Fino a cinque giorni fa dovevo prendere dei farmaci sei volte al giorno. C’è Adolfo Muñoz che può confermarvelo. Un mese e mezzo fa ho avuto una crisi per la stanchezza, l’affaticamento e la debolezza. Ho preso ogni tipo di vitamine per recuperare. La gente dirà, e allora? Non è un motivo per andarsene. Ci sono una serie di circostanze.

Quante volte ha letto la lettera di suo figlio e quante volte ha pianto?

Tante volte, ogni volta che la leggevo. Se ci penso ricomincio a piacere, quindi cambiamo argomento. Non me l’aspettavo, me l’ha data Jesus Gomez (capo della stampa del Siviglia) domenica pomeriggio via email e non mi ha detto cosa fosse, solo che c’erano delle frasi di persone che mi volevano bene. Ero da solo, la mia famiglia era andata a San Fernando con i nonni e… Ieri, a un benzinaio, mentre facevo benzina l’ho letta di nuovo e ho ricominciato a piangere. E’ che è scritta davvero bene. Di tutto quello che è stato scritto, anche se molto bello, mio figlio è stato quello che ha descritto meglio la situazione. Sarà che è quello che l’ha vissuta in maniera più diretta. Anche con questo pizzico di ribellione dei tifosi per la mia partenza, perché lui, alla fine, non vuole che io me ne vada, ma come figlio lo accetta. C’è tutto, la famiglia a San Fernando, mia madre, che è già anziana, i miei fratelli… Loro davvero non capiscono. Lei non capisce perché devo andare via e ora ha un dubbio, se chiamarmi dopo ogni partita del Siviglia come ha sempre fatto. Quando partirò, alla fine, sarò lontano e a loro non piacerà. A casa mia, mia moglie ha detto che quello che farò sarà fatto bene anche se i due bambini lo hanno accettato meno.

Com’è stato quando ha comunicato la sua decisione alla sua famiglia?

C’erano state già delle avvisaglie e ne avevamo parlato qualche volta quando eravamo insieme. E’ vero che la mia famiglia è un po’ sparsa, Alejandro è fuori, che mia moglie e mia figlia sono a Cadiz e io sono qui. Quando siamo stati insieme ne abbiamo parlato, ma quel momento è stato duro e difficile. Dire che quella che era una possibilità era già una realtà. Sono 29 anni, per chi mi vuole bene è difficile. E’ dura anche per chi mi apprezza o capisce il contributo al club. Per me però è ancora più difficile. Nessuno soffrirà quanto me per questa decisione. Prima ho parlato con Jose Maria Cruz che mi ha chiesto come stessi e io ho risposto ‘una merda’. “E’ colpa tua”, ha risposto. E se… Questa è la cosa peggiore, che è una decisione completamente mia… E’ qualcosa che avevo bisogno di fare.

Da maggio a ora, si è mai chiesto dove starebbe meglio che a Siviglia?

Sì e no. Non l’ho fatta così drastica, ma ci ho pensato praticamente ogni giorno. Ho rappresentato questo dubbio interiore con io al letto di notte pensando che dovevo andare e svegliarmi la mattina dicendomi che non potevo andare via. Ed è stata una cosa continua. Ma così drastica da pensare di recarmi dal club e dire tutto ciò che poi ho detto, no, mai. Una volta che mi sono convinto che quella era la cosa più difficile e drastica da fare, non potevo più avere dubbi.

A chi ha raccontato per primo questa decisione?

Alla mia famiglia e ai miei amici, però senza allargare molto il raggio di azione così che la cosa non potesse essere distorta. Non c’è stato un giorno preciso, un giorno chiave, ma è stata una cosa venuta fuori gradualmente.

Come si immagina nella sua mente l’addio ufficiale al Sanchez Pizjuan prima della sfida con il Deportivo?

Puf… Non saprei veramente. La verità è che davvero non ne ho idea. La verità è che ora l’atmosfera in città non è l’ideale, la squadra non sta andando molto bene. Nel mio copione del mio addio mancano tante cose e una di queste, forse, è proprio il mio addio. Ma con una sola persona, sola una, che nel campo mi dimostra affetto, potrò lasciare. Sarà una cosa spontanea, non preparata. Di sicuro ognuno lo farà seguendo quello che sente. Facendo qualcosa di davvero sentito e non di finto...

Le piacerebbe che il Gol Norte (il settore caldo dei tifosi dei Siviglia) fosse pieno e che il suo addio magari possa servire come inizio di una tregua?

Questo sarebbe già un sogno. Ma è un argomento delicato sul quale non mi voglio esprimere troppo. Sono molto molto soggettivo su questa faccenda. Sapete tutti il mio legame con il tifo e in particolare con il Gol Norte. Sono un tifoso del Siviglia, ma devo anche pensare che sono un direttore sportivo.

Sarebbe deludente se il giorno del suo addio il Gol Norte fosse vuoto?

No. Tutti i tifosi hanno lo stesso valore. Ce ne sono stati così tanti che qualsiasi cosa succederà domani sarà positivo.Non bisogna essere egoisti e pensare di essere al centro del mondo. Il centro è il Siviglia e io ne sono parte. Chiunque mi ferma per strada e mi augura buona fortuna, quell’abbraccio sconosciuto vale quanto 10mila. L’altro giorno, prima di entrare in campo ho fatto foto con tante persone, una bambino di sei anni viene da me e mi dice: “Monchi non te ne andare”. Questo vale più di ogni altra cosa. Dopo la partita mi sono fermato a un semaforo e una macchina vicino a me dice: “Non andare, Leon”. Questo è quello che mi porterò dentro. Quello che succederà domani sarà bello perché lo vivrò con i miei figli a bordocampo.