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Caro Totti, questa semifinale di Champions è anche tua

La Roma ha raggiunto un traguardo che Francesco in carriera non ha mai toccato. Ma ciò non toglie che ha dato lo stesso il suo contributo: dalle visite a casa di Nainggolan e Peres alle cene con DiFra e Conti, ecco quanto è importante nella Roma

Massimo Limiti

Basta che guardi un suo (ex) compagno negli occhi per capire cosa c’è. Basta che si presenti lui a casa di Bruno Peres o Nainggolan, o che inviti Monchi nel suo salotto. Basta che incroci gli occhi di De Rossi o ceda il suo armadietto a Under, che quando lo ha incontrato fuori dallo spogliatoio non ha spiccicato parola per mezzora. Francesco Totti, anche adesso che ha smesso di emozionare con i piedi (cit. 28 maggio) è una delle anime di questa Roma. Non la più importante, non lo vuole lui, che ha scelto, l’altra sera di affidare i suoi pensieri a un tweet per non togliere le luci della ribalta a Di Francesco e i giocatori. Sono loro che hanno portato la Roma tra le prime 4 d’Europa, ma un pezzo di questa semifinale è anche sua.

Del Capitano, con la C maiuscola e la fascia d’eternità al braccio. E non ce ne voglia De Rossi, splendido condottiero di una squadra che è arrivata, in Europa, dove Totti ha sempre sognato di esserci. Non c’è riuscito, e magari con Cassano da una parte e il figlio Cristian dall’altra gli sarà preso anche un pizzico di malinconia. Naturale, umana, logica: ha inseguito tutta la vita il trionfo europeo, vedere la Roma strapazzare il Barcellona lo ha riempito di orgoglio ma magari, anche solo per un secondo, il rimpianto sarà stato lì, a fargli compagnia. Naturale, umano, logico, come naturale, umano e logico è il percorso che sta facendo Francesco. Per la prima volta la Roma ha un dirigente che fa - davvero - il raccordo tra società e giocatori, che, tranne rari casi (le assenze a Baku e Crotone), in ritiro sta sempre incollato a Di Francesco. Mangia con la squadra, vive con loro l’attesa che precede la partita, sale sul pullman, sa quando è il momento di scherzare e quando invece farsi seri. Parla poco, ma quando lo fa nessuno replica.

I nuovi sono intimoriti, quasi in soggezione, ma poi si aprono appena vedono che in fondo Totti è rimasto ancora un po’ calciatore. E da ex sa quanto fosse importante che lui, Monchi e Di Francesco formassero un corpo unico, a cui ogni tanto si aggiunge anche Bruno Conti, un’altra bandiera. Totti ha sostenuto, più di tutti, l’allenatore durante il nero periodo invernale, ha parlato con Dzeko quando sembrava sul piede di partenza e ha condiviso la scelta di Di Francesco di far giocare sempre il bosniaco. Ha voluto mettere la faccia sull’espulsione di De Rossi contro il Genoa, in pieno mercato di gennaio ha detto che per lui bisognerebbe sempre comprare i campioni, ha comunicato a Nainggolan, insieme a Monchi, la super multa e l’esclusione dai convocati contro l’Atalanta. Ha detto poche parole, ma pesanti. Pesanti come i gol di Dzeko, De Rossi e Manolas contro il Barcellona. Tre (insieme a Radja) di quelli a cui è più legato. Sarà un caso. O forse un segno del destino. Ma la realtà questa è. E allora, caro Francesco, anche se a noi sarebbe piaciuto vederti in campo con la tua maglia numero 10 a festeggiare, pazienza. Non c’è spazio per la malinconia, tua e nostra. C’è spazio solo per l’orgoglio. Perché sia chiaro: questa semifinale è anche di Francesco Totti.