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Per adesso abbiamo un titolo. "I Friedkins" - scrive Fabrizio Bocca su La Repubblica - è perfetto per una comedy tv, mettete Dan e Ryan, padre e figlio, su un divano in salotto e mentre fanno battute con le risate fasulle della regia possiamo pure farci un'idea della Roma che verrà.
Il calcio, soprattutto a Roma, è molto prosaico e una decina di anni di America 1 hanno reso diffidente il tifoso, che teme di essere nuovamente trascinato in una storia sbagliata e monotona, con poco cuore e soprattutto di non si sa quanti soldi.
I presidenti di calcio però uno non se li sceglie e dunque il buon Dan arriva sull'onda del pregiudizio di Pallotta, business man arido di passione di calcio, presuntuoso, cantatore di favole e di zero fascino. Dandogli fiducia sulla carta, la prudenza di Friedkin risulta però estrema, forse eccessiva davanti a un pubblico che è stanco di non vincere, di veder i campioni passare e andarsene via, delle plusvalenze al potere. La pazienza c'è, si tratta solo di non aspettare in eterno.
Resta lì tra mille perplessità il buon Paulo Fonseca, uno troppo buono e troppo mite per dare l'idea di poter dare la svolta decisiva e trasformare la Roma in un club di vertice. L'idea di un guru come Rangnick dentro la Roma era effettivamente abbastanza affascinante, ma anche di non facile realizzazione. E' la gradualità e la prudenza senza termine che spaventano.
Nessuno chiederebbe mai oggi ai Friedkin lo scudetto, ingaggiare campioni che oggi non può permettersi o più generalmente l'impossibile, però se ti sei buttato nel calcio qualcosa inventati per rompere il tran tran di questo monotono ménage.
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