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La fiera solitudine di Capitan Kostas

LaPresse

A prendersi fischi, insulti, rimproveri è andato il capitano di giornata. Che però non era Florenzi, che in passato si era rifiutato di andare sotto la curva Sud, un gesto che gli ultras non hanno mai dimenticato. E non dimenticheranno, in senso...

Francesco Balzani

Ci sono giocatori che non hanno avuto bisogno della fascia da capitano per essere leader. Pensiamo a Falcao, Voeller, Samuel o Panucci. Non ne avevano bisogno, ma sopratutto non gli spettava visto che in quegli anni a capitanare la Roma c’erano Di Bartolomei, Giannini e Totti. Erano loro a prendersi le responsabilità, il che non vuol dire solo andare a protestare con l’arbitro o scegliere testa o croce al lancio della monetina. Quando si vinceva quei capitani alzavano i trofei, quando si perdeva e i tifosi chiedevano spiegazioni erano loro a darle.

Era bello quel fascino da capitano che si allontanava dal patinato e prendeva i colori terreni e aspri della tifoseria romanista, che si umanizzava, che si faceva coinvolgere dalle lamentele di chi magari si era fatto 1000 km solo per vedere la Roma vincere. O quantomeno combattere (cosa di certo non accaduta a Plzen). L’ultimo erede di quella specie è sicuramente Daniele De Rossi che questa crisi però la sta vivendo da lontano essendo infortunato. Così nel piccolo stadio del Viktoria a prendersi fischi, insulti, rimproveri è andato sotto il settore ospiti solo il capitano di giornata. Che però non era Florenzi visto che è subentrato a partita in corso. Il terzino in passato si era rifiutato di andare sotto la curva Sud, un gesto che gli ultras non hanno mai dimenticato. E non dimenticheranno, in senso positivo, nemmeno la camminata a testa alta di Manolas. Sì, il difensore nato a Naxos che non è il nome di un comprensorio nella periferia bene di Roma ma una splendida isola greca. Kostas ha ignorato il fuggi fuggi generale (in questo caso c’era pure Florenzi a imboccare subito il tunnel) e da solo è andato a passi lenti verso quelle facce incazzate, deluse, tristi. Che però hanno saputo cogliere il coraggio del greco e lo hanno applaudito. Perché nello sport, come nella vita, è facile essere amici o amanti solo per brindare a feste o successi. Ben più significativo è condividere i fallimenti. Manolas è a Trigoria da oltre quattro anni, un’anomalia visto il valore tecnico ed economico del suo cartellino. Una sua scelta quella di  rifiutare una cessione che Monchi aveva già chiuso con lo Zenit (che ulteriore disgrazia tecnica sarebbe stata!), una sua scelta quella di dialogare senza paura prima coi tifosi poi coi giornalisti a pochi minuti da una sconfitta figlia soprattutto degli errori dei suoi mediocri compagni di reparto. Ci è sembrato di un’altra epoca Kostas, fiero pure nel cadere. Lui che rappresenta l’emblema della vittoria. L’eroe della remuntada al Barcellona, l’Achille trapiantato nella capitale. Ok, basta così con nomi roboanti e paragoni epici. Perché oggi di mitologico c’è solo la tragedia di una squadra che non sa più riprendersi. Ma per farlo avrebbe bisogno di Uomini come Kostas o Dzeko, o come lo erano Alisson, Strootman e Nainggolan. Perché i giovani sono il futuro, ma il presente è già qui.