(Gazzetta dello Sport - M.Iara)?Sapevamo che il calcio italiano ? malato, adesso ne abbiamo la conferma?. Tito Boeri, economista di lavoce.info e professore alla Bocconi, ha letto l'inchiesta di ieri della Gazzetta sui bilanci delle societ? di Serie A e continua a restare negativamente impressionato da un sistema che ? pur sempre, in termini di fatturato, nella top 100 dei grandi gruppi industriali del Paese ma che fatica a ragionare da azienda.
rassegna stampa
Vie d’uscita dalla crisi ?Ai club serve una visione industriale?
(Gazzetta dello Sport – M.Iara) ?Sapevamo che il calcio italiano ? malato, adesso ne abbiamo la conferma?. Tito Boeri, economista di lavoce.info e professore alla Bocconi,
Grande esperto di welfare e mercato del lavoro, Boeri ha fatto pi? di un'incursione sul campo di gioco. L'anno scorso, per esempio, ha dato alle stampe il libro Parler? solo di calcio (edito da Il Mulino); inoltre ha scritto, a quattro mani con Battista Severgnini, un capitolo dedicato proprio al declino del calcio italiano all'interno dell'Handbook on the Economics of Football, testo accademico di prossima pubblicazione.
Perdita di 292 milioni, costi stabili a 2,27 miliardi e fatturato in lievissima crescita a 1,64 miliardi, indebitamento in continuo aumento, con 1,63 miliardi di debiti netti, quattrocento milioni in pi? in tre anni. ? questa la fotografia scattata sui bilanci della Serie A della scorsa stagione.
?Il calcio italiano si trascina lo storico handicap di non riuscire a diversificare i ricavi, unicamente legati allo sfruttamento dei diritti tv e ormai soggetti a micro-incrementi. In pi? fa fatica a comprimere i costi. Per la verit? qualcuno ha iniziato a farlo, si intravedono sintomi di investimento sui giovani, sul vivaio, ma sono ancora esperienze isolate. Senza dimenticare che quando si comprimono i costi lo si fa a detrimento dei ricavi perch? tagliando gli ingaggi dei top-player si pu? correre il rischio di impoverire lo spettacolo prodotto e, di conseguenza, l'interesse di pubblico e sponsor?.
Le venti societ? di A sono esposte per quasi un miliardo (976 milioni per la precisione) verso gli istituti di credito tra fidi, mutui, factoring, leasing e quant'altro. I debiti finanziari sono pi? che raddoppiati negli ultimi 5 anni. ? questo il vero dato preoccupante?
?In effetti, la situazione ? molto difficile. Le squadre, quando raggiungono una certa dimensione, diventano molto popolari e si verifica quel che noi chiamiamo azzardo morale: i club pensano che ci sar? sempre qualcuno che interverr? per salvarli, vista l'attenzione di cui godono presso il pubblico. Basti pensare al caso della Roma. Ecco perch? al giorno d'oggi, nel momento in cui si parla di stretta creditizia ci si riferisce alle piccole imprese e non di certo alle squadre di calcio. Pi? in generale, l'indebitamento d? l'idea dell'insostenibilit? e non si vede una tendenza alla riduzione dello stesso?.
Perch? si ? arrivati a questo punto?
?Le ragioni strutturali risiedono nel fatto che, in questi anni, le societ? hanno investito molto sull'immagine, gonfiando parecchio il monte-stipendi. E poi si sono vendute anima e corpo alle tv. ? una spirale che non si interrompe. La strada maestra ? quella di diversificare i ricavi. E poi di essere pi? efficienti sugli investimenti nei calciatori?.
Cio??
?Nel nostro ultimo studio abbiamo calcolato l'indice di efficienza: il costo stipendi per punto in classifica in Serie A. Negli ultimi 5 anni Milan, Inter, Roma e Juventus hanno speso in media tra 1,3 e 3,3 milioni di euro per punto, mentre Fiorentina, Napoli, Lazio e Udinese hanno speso tra 500 mila euro e 1,5 milioni per punto. Ci siamo posti la domanda: ? possibile migliorare le performance sportive tenendo sotto controllo le spese? Comparando il periodo 2002-06 col 2007-11 si scopre che l'Udinese ce l'ha fatta: ha ridotto il costo per punto del 7% e ha aumentato il punteggio in classifica del 10%. Non a caso, l'Udinese investe tantissimo nello scouting. Un'altra esperienza interessante ? quella del Catania?.
Tuttavia le esigenze di una big, in termini di aspettativa, sono differenti da quelle di una cosiddetta provinciale...
?L'ideale sarebbe un sistema chiuso tipo modello americano. Basti pensare ai danni prodotti dalle retrocessioni. Sarebbe pi? facile in tal modo studiare un sistema di compensazione?.
Quanto alla sostenibilit? economica, una soluzione non potrebbe essere quella di applicare su scala nazionale il fair play finanziario dell'Uefa?
?Gi? ho dei dubbi che a livello europeo il sistema sanzionatorio regga. Il fair play farebbe bene, eccome, ma si immagini cosa potrebbe succedere se venisse esclusa dal campionato una squadra popolare?.
Altre vie d'uscita dalla crisi dei conti?
?Stadi di propriet?, maggiore attenzione a marketing e merchandising, ripristino di un rapporto caldo e sano coi tifosi, pi? investimenti sui settori giovanili e sul reclutamento. Inoltre una profonda riflessione andrebbe fatta sulla struttura di governance. In Italia abbiamo un assetto societario in cui campeggia il proprietario dominante che spesso ha interessi legati all'apparizione, all'immagine, e questo lo porta a logiche di investimento differenti da quelle industriali: la societ? calcistica pu? essere in perdita, quel che importa ? il ritorno d'immagine. Il modello tedesco ? molto interessante. Una governance capace di coinvolgere di pi? le comunit? locali, come avviene in Germania, permetterebbe di avere bilanci sostenibili?.
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