rassegna stampa

Stadio della Roma, la lezione della Metro C che preoccupa Pallotta

Il protrarsi infinito dei lavori, modifiche su modifiche al progetto iniziale, contenziosi, ricorsi, lievitamento mostruoso dei costi, compresi quelli a carico dei cittadini.

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Next stop… Tor di Valle. Ma quando? E soprattutto a che prezzo? Peccato che James Pallotta non si sia trattenuto a Roma anche questa settimana. Sarebbero state giornate assai istruttive per il businessman americano, forse anche più delle tavole rotonde sul calcio cui ha preso parte nella kermesse londinese. È probabile che sia comunque riuscito a leggere le cronache dell’ennesimo pasticciaccio capitolino, ma qui si sarebbe goduto, si fa per dire, lo spettacolo.

Lo scandalo della Metro C — senza voler stabilire di chi siano le responsabilità, se degli amministratori attuali o passati, dei costruttori o dei consorzisti — racchiude tutti i passaggi che un’opera pubblica che si rispetti deve contenere (nella Capitale e nel resto d’Italia): protrarsi infinito dei lavori, modifiche su modifiche al progetto iniziale, contenziosi, ricorsi, lievitamento mostruoso dei costi, compresi quelli a carico dei cittadini. Che aspettano e sperano, poi non sperano più. 

Ecco, cosa deve aspettarsi il tifoso della Roma dalla costruzione del nuovo stadio? A domanda, ormai da mesi, Pallotta risponde sempre la stessa cosa: «Sarà pronta tra due anni e sarà l’opera del secolo». Non è in discussione l’ambizione del progetto , né la capacità del re degli hedge funds di attrarre finanziatori, sponsor, investimenti. Ma proprio perché si tratta di una gigantesca operazione «a debito» con un business plan che prevede i primi ricavi a tre anni dall’approvazione del progetto definitivo, fossimo in Pallotta presteremmo particolare attenzione a chi e come farà i lavori. Non tanto chi si occuperà di tirare su lo stadio, ma chi farà le opere pubbliche previste dal progetto: la metro B, le strade, gli svincoli, i viadotti, il ponte pedonale, insomma tutti quei lavori (per 320 milioni di euro) che giustificano la certificazione pubblica del progetto e che questa amministrazione comunale, lodevolmente, ha legato alla costruzione dell’impianto calcistico, obbligando Pallotta a completarli contestualmente all’inaugurazione dello stadio, non un minuto dopo. Una vittoria che il sindaco Marino ha ottenuto a tutela della collettività (a Firenze, per dire, il sindaco Nardella, delfino di Matteo Renzi, ha appena messo a disposizione dei Della Valle un’enorme area comunale dove ora c’è un mercato e in futuro nascerà lo stadio dei viola). 

Col risultato che, qualora disgraziatamente le aziende scelte dal project manager Luca Parnasi (con bando europeo come prevede la legge, ovviamente) non dovessero tutte consegnare i lavori in tempo, sarebbero Pallotta e la Roma a farne le spese, perché lo stadio, seppure pronto, resterebbe chiuso. Un rischio evitabile a priori solo affidandosi a soggetti lontani, molto lontani dalle logiche del Gra, ancor meglio se stranieri. Ma sarà possibile? Giovedì scorso, alla riunione annuale dei costruttori romani (che aveva uno slogan dedicato a Comune e Regione: «Un anno di niente»), il presidente Edoardo Bianchi ha rivolto un passaggio della sua relazione allo stadio della Roma: «Siamo contenti che porti oltre un miliardo di investimenti, ma non ci interessa assolutamente. Prima bisogna dare risposta a chi da anni è in fila per avere le autorizzazioni a costruire». E che, traducendo, ora si aspetta di essere convocato a Tor di Valle. Parnasi, che era in platea, ha preso nota.