rassegna stampa

Rizzoli spiazza tutti: Sansone confessa, retromarcia dopo 4’

(Gazzetta dello Sport – F.Ceniti) Giovedì scorso a Zurigo, nel raduno degli arbitri selezionati per il Mondiale, il designatore Fifa Massimo Busacca aveva previsto, senza saperlo, il futuro:

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(Gazzetta dello Sport - F.Ceniti)Giovedì scorso a Zurigo, nel raduno degli arbitri selezionati per il Mondiale, il designatore Fifa Massimo Busacca aveva previsto, senza saperlo, il futuro: «In Italia parlate sempre della moviola in campo quando gli arbitri hanno la capacità di rivedere mentalmente l’azione: se si rendono conto d’aver sbagliato decisione devono avere la forza di tornare sui loro passi. L’importante è prendere la decisione giusta». In Sassuolo-Roma è stata presa la decisione giusta: il contatto tra Benatia e Sansone non meritava il rigore. In estrema sintesi: Nicola Rizzoli ha evitato un errore, ma ci sono voluti più di 4’ per arrivare al traguardo e soprattutto un paio di passaggi non proprio ortodossi. Certo, a voler guardare il bicchiere mezzo pieno si può sottolineare il fair play dell’attaccante del Sassuolo: «interrogato» dal direttore di gara ha detto la verità («Benatia mi ha messo una mano sul petto e poi sono scivolato»). L’altra faccia della medaglia, però, ha le sembianze di un mezzo pasticcio servito all’ora di pranzo sotto gli occhi del designatore Stefano Braschi: il rigore concesso su indicazione del giudice di porta Peruzzo (quello uscito peggio), la richiesta di Rizzoli al calciatore (non proprio l’interlocutore canonico per dirimere i dubbi), il colloquio con i suoi collaboratori, le proteste della Roma poi sostituite da quelle del Sassuolo e infine le spiegazioni sulla revoca definitiva.

CHE COSA E' ACCADUTO  Sempre Busacca a Zurigo ricordava: «La velocità del calcio attuale costringe gli arbitri a trovarsi sempre un passo avanti rispetto allo sviluppo dell’azione: se resta dietro non è nella condizione migliore per giudicare». E’ quello accaduto a Rizzoli: il fronte a centrocampo cambia versante dopo una carambola proprio sui piedi dell’arbitro. In un secondo Sansone è lanciato nel cuore dell’area romanista: a questo punto il fischietto bolognese è a quasi 45 metri dal contatto tra l’attaccante neroverde e Benatia. Quando il primo finisce a terra, non accade nulla. Da lontano Rizzoli non lo valuta da rigore, ma sa di non essere nella posizione ideale per individuare una irregolarità. L’addizionale Peruzzo (reduce da alcune direzioni non proprio perfette) è invece a 10 metri dal punto cruciale. E chiama via auricolare il rigore. Lo fa senza incertezze: Rizzoli gli dà ascolto e fischia. A questo punto scatta qualcosa nella testa dell’arbitro centrale. Il suo istinto gli aveva dato una lettura diversa del contatto, quando si avvicina ai giocatori li osserva e con l’esperienza accumulata in carriera forse intuisce qualcosa. Fatto sta che decide di chiedere a Sansone. E’ questo il passaggio più ardito (e meno convincente) di tutta la faccenda: va bene la collaborazione tra le parti se è il giocatore ad andare dall’arbitro per spiegargli l’accaduto, ma il contrario non può essere un modello da seguire. Sansone avrebbe potuto raccontare qualunque cosa: che cosa sarebbe successo? Non c’è risposta.

REVOCA Sappiamo che cosa è accaduto: Sansone riferisce del contatto e della successiva scivolata. Rizzoli con una informazione decisiva va da Peruzzo: spiega di aver chiamato rigore perché convinto di uno sgambetto di Benatia. Bingo. L’arbitro ha appena saputo dall’attaccante che l’unico contatto è arrivato con la mano. Niente sgambetto, niente penalty. Rizzoli riprende in mano il pallino della situazione: aveva già giudicato non falloso il tocco di Benatia. L’assistente Nicoletti glielo conferma: «La maglia non si è allungata». Con grande calma (questo è un merito) l’arbitro che ci rappresenterà al Mondiale revoca il rigore, spiega il perché ai giocatori e soprattutto al «reo confesso» (forse pentito) Sansone: «Non ti ammonisco perché non hai simulato, ma non c’è fallo». Si riprende con una palla a due. Decisione giusta, per carità. Ma la speranza è che non accada un’altra volta.