Un caffè con il miglior arbitro del mondo. È un Capodanno di relax per Nicola Rizzoli al caldo di Dubai. L’Award di Globe Soccer è il coronamento di una carriera da favola per lui con le finali di Champions League 2013 e del Mondiale 2014. E ieri si è aggiudicato la prima edizione del riconoscimento nato su iniziativa di Collina e Busacca, i due comandanti del vapore arbitrale.
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Rizzoli: “Ad Udine con Totti sbagliai. Poi abbiamo chiarito e siamo cresciuti entrambi”
«Vorrei arbitrare oltre i 45 anni. Io come Collina? Non saprei, per ora amo ancora il campo. Posso solo dire che un giorno mi piacerebbe insegnare ai giovani. Perché no, anche ai bambini»
Al top a 43 anni: si sente appagato?
«Fisicamente sto bene. Anzi ho pure perso otto etti. E la voglia è ancora tanta».
Continuerebbe dopo i 45 anni?
«La Fifa intende alzare il limite di età. Io so che mollerò il giorno in cui non avrò più stimoli. E ora ne ho in abbondanza».
È più difficile allenare la mente che il fisico?
«Certamente. Non mi pesa faticare tre ore al giorno. È più dura restare concentrati, determinati, e studiare di continuo».
In che senso?
«Vedo tante partite e ho un archivio personale in cui catalogo gli episodi più significativi. Analizzo le tattiche delle squadre, i calci piazzati: blocchi compresi. È un bagaglio indispensabile quando vai in campo».
Quindi ha l’elenco dei simulatori?
«Non esattamente, ma se mi fregano anche solo una volta mi arrabbio».
Che rapporto ha con la psicologia?
«Continuo. In questi anni ho capito quanto sono importanti i miei atteggiamenti in relazione agli altri. Così come è rilevante imparare a conoscere la personalità dei calciatori. A volte li puoi capire da uno sguardo o anche da un gesto. Una volta a Madrid uno psicologo Uefa mi seguì per tre giorni e fu un’esperienza molto istruttiva».
Tutto ruota attorno al rispetto.
«Una questione è il ruolo dell’arbitro, un’altra è il dialogo in campo. Per carattere io sono aperto al confronto, l’obiettivo è quello di aiutarsi a sbagliare il meno possibile».
Ma stanno migliorando i rapporti con i calciatori?
«Diciamo di sì. Ma dobbiamo impegnarci tutti per colmare un gap che è culturale. Forse un incontro all’anno non basta. Potrebbero servirne di più, anche se non sta a me decidere le forme».
Ma non stacca mai?
«Sì, il lunedì quando vado a nuotare. Tra una bracciata e l’altra canticchio e mi rilasso. È quella la mia moviola preferita».
Quale musica preferisce?
«Sono appassionato degli U2, ma vanno bene anche le canzoni del momento».
Come va la sua professione di architetto?
«Il mio vanto resta il progetto per il completamento dell’oncologico pediatrico del Sant’Orsola di Bologna. Ma purtroppo è un lavoro del 2001, negli ultimi anni gli impegni arbitrali mi hanno costretto ad allentare questa attività. Peccato perché per me rimane il mestiere più bello del mondo».
Ma vince l’altra passione...
«E pensare che io a 13 anni avevo scelto di fare l’architetto, l’opzione arbitrale è nata quando ne avevo 16. Ero un’ala promettente, poi un infortunio ed un compagno di classe arbitro hanno cambiato la mia vita».
Al miglior fischietto del mondo è permesso sbagliare?
«Il pericolo è proprio quando un arbitro crede di essere infallibile. In quel caso non riesce a gestire l’errore, e se lo commette rischia di restare come sotto ad una pietra. Io ho sbagliato tante volte e la mia forza è sempre stata quella di far tesoro degli errori».
C’è n’è stato uno più istruttivo di altri?
«Sette anni fa a Udine con Totti sanno tutti come andò. Poi abbiamo chiarito e siamo cresciuti entrambi».
Per Capello la Serie A non è un campionato allenante per le squadre. Vale anche per gli arbitri?
«È l’esatto contrario. Da noi la selezione diventa naturale nei campionati inferiori. E anche in A gli ostacoli sono maggiori che negli altri Paesi. Un arbitro italiano è più che allenato».
I nostri calciatori nelle gare internazionali si comportano meglio?
«Tutti sono più concentrati, sanno che rischiano di più: anche perché hanno meno gare da giocare e un rosso ha un peso maggiore».
Si immagina un futuro alla Collina?
«Non saprei, per ora amo ancora il campo. Posso solo dire che un giorno mi piacerebbe insegnare ai giovani. Perché no, anche ai bambini».
Come sono i rapporti con gli altri arbitri?
«C’è la giusta ambizione di tutti ma io non leggo gelosie. Lo spogliatoio è molto unito».
Lei si sente leader di questa generazione?
«Non devo certo deciderlo o dirlo io. Ha presente un gruppo di pinguini? Stanno sempre tutti vicini per il freddo, poi uno si stacca e gli altri lo seguono. La leadership sono sempre gli altri a riconoscerla».
Intanto Messina dà spazio anche agli altri.
«Mi sembra giusto. Devono crescere tutti».
Tornerebbe ad arbitrare in serie B?
«Come no. Una Can riunita farebbe bene a tutti. Per modulare le esperienze e fare gruppo».
Che voto dà al giudice di porta?
«Alto, aumenta la qualità dell’arbitraggio. Dividersi le zone del campo e le coppie di giocatori aumenta il controllo. Aver ricoperto anche questo ruolo mi ha aiutato a capire come migliorare le due funzioni. La gol-line può aiutare ma non deve essere considerata un’alternativa».
La scuola arbitrale italiana fa sempre tendenza.
«Siamo ripartiti quasi da zero 8 anni fa: è saltata una generazione. I risultati dicono che siamo tornati ai massimi livelli. Ma guai a cullarsi».
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