rassegna stampa

Non basta la rendita dei diritti tv. I Club lavorino sul prodotto Serie A

(Gazzetta dello Sport – M.Iaria) Avviso ai naviganti, cioè ai presidenti delle società di Serie A: ora non fate come le altre volte, non illudetevi di campare di rendita con i soldi delle tv.

finconsadmin

(Gazzetta dello Sport - M.Iaria) Avviso ai naviganti, cioè ai presidenti delle società di Serie A: ora non fate come le altre volte, non illudetevi di campare di rendita con i soldi delle tv. Se in Lega non matura una svolta, il contratto siglato con l’advisor Infront, che blinda ricavi minimi da 5,94 miliardi fino al 2021, rischia di trasformarsi in un boomerang. Non tanto perché quei soldi in realtà devono essere confermati e, si spera incrementati, sul mercato una volta pubblicati i bandi, ma soprattutto perché il calcio italiano non può continuare ad accontentarsi della pioggia di denaro da «stadio virtuale». È la storia a dirlo.

La storia di questi dieci anni in cui l’esplosione dei proventi televisivi in Italia, passati da 500 milioni a 1 miliardo di euro, ha fatto pendant con la perdita di competitività del sistema, la fuga del pubblico, l’impoverimento tecnico delle competizioni, le prestazioni deprimenti sulla scena internazionale.

Proprio mentre la crisi economica ha accelerato il tramonto del mecenatismo all’italiana che, spesse volte, aveva compensato il deficit strategico dei nostri club. Nel 2002-03 la Premier fatturava 1791 milioni, la Bundesliga 1108, la Serie A 1042 e la Liga 847; nel 2011-12 la Premier è volata a 2917 milioni, poi Bundesliga 1872, Liga 1765 e Serie A 1570.

Ma non è solo una questione di numeri. L’elemento-chiave è ciò che muove i gusti dei tifosi: la magia di uno stadio pieno, la bellezza dello spettacolo, la voglia di essere protagonisti e non solamente consumatori finali. I presidenti delle società, ora che hanno i mezzi per pianificare i budget, devono compiere un salto in avanti. E mettersi in testa che bisogna agire su più fronti, tirar fuori un po’ di coraggio, rinunciare a privilegi acquisiti, esercitare lo spirito di impresa come sanno fare nelle loro aziende. Alla Serie A serve un format.

Politiche centralizzate, gestite da una Lega autorevole come in Inghilterra e Germania, sono indispensabili. Solo così è possibile creare quel valore aggiunto che dia più della sommatoria del potenziale dei 20 club. Primo esempio: da troppo tempo giace in un cassetto la proposta di vendere un set di diritti collettivi Lega (il videogioco, il marketing centralizzato della Coppa Italia, la sponsorship e l’orologio ufficiale del campionato all’estero) utili non solo a fare cassa – la stima è di 20-30 milioni a stagione – ma anche a costruire un brand della A.

Secondo esempio: stavolta si è deciso in anticipo di giocare a Pechino la Supercoppa, a meno che la vincitrice della Coppa Italia non disputi i preliminari di Champions. Bene. La Cina è un mercato interessante ma complicato, che non può essere conquistato con la toccata e fuga. Bisogna lavorarci tutto l’anno. Un’identità riconoscibile, con standard commerciali rispettati da tutti, è il presupposto per vendere meglio la Serie A oltre confine. È vero che l’austerity ci ha privato delle stelle, ma alcuni personaggi si possono pure creare. E poi bisogna essere bravi a valorizzare il prodotto nel suo insieme. Non basta mettere all’asta i diritti esteri e sperare che il prezzo salga. È necessario accompagnare il processo con una serie di iniziative di stimolo. Niente scuse, basta volerlo.