Il derby che deciderà la stagione di Roma e Lazio è anche una sfida tra ambizioni. Una già realizzata, e una che potrebbe esserlo nel giro di qualche giorno, ma anche se non lo sarà subito, sarà solo questione di tempo. Avesse avuto voglia, Alberto De Rossi (all’11° anno di Primavera), avrebbe potuto lasciare a sua discrezione, andando via da Trigoria (ogni anno, arrivano richieste da B e Lega Pro) o facendo il salto in 1a squadra. L’ultima volta accadde nel 2011 (anno dell’ultimo baby scudetto romanista), dopo il divorzio con Ranieri. De Rossi disse «no, grazie» e, qualche tempo dopo, spiegò il perché. «Non è una mancanza di ambizione – disse –. Mi sono ormai convinto di essere adatto a fare ciò che sto facendo ora. A me interessa poco il calcio dei grandi, troppo impaziente e scarsamente costruito. Preferisco continuare a coltivare la passione per i giovani». A cui oggi, sotto gli occhi del d.s. Sabatini, chiede l’ennesimo regalo: «Abbiamo sensazioni positive e vogliamo raggiungere questo obiettivo storico. Possiamo battere la Lazio, ne sono convinto».
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Un derby e due filosofie. De Rossi rifiutò il calcio dei grandi Inzaghi lo sogna
Oggi in scena il derby Primavera nell'esordio delle Final Eight di Rimini
SOGNO PROMOZIONE Simone Inzaghi, invece, a guidare una prima squadra ci andrebbe domani, pensiero mai nascosto: «I giovani sono una grande palestra, ma è da quando ho iniziato che sogno di allenare in A». E chissà che il sogno non sia questione di giorni: dalla sua parte ci sono la grande stima di Lotito, la conoscenza dell’ambiente e il rapporto che saprebbe instaurare con i calciatori; dall’altra, però, c’è l’inesperienza a certi livelli che per una squadra che deve rifondarsi non è il massimo da cui partire. Reja incontrerà la società entro fine settimana: Inzaghi, la prossima, potrebbe ritrovarsi in finale con la Primavera e il futuro già scritto. Per farlo, dovrà prima di tutto battere un avversario che, negli ultimi due anni, ha trovato altrettante volte sulla sua strada nelle Final Eight Allievi: un pareggio nel 2012 e una vittoria nel 2013, ma si giocava con la formula del girone all’italiana. Stavolta è diverso, ma Inzaghi non ha cambiato le sue abitudini: le ha cambiate invece alla squadra che con Bollini studiava l’avversario in lunghe riunioni video, che Inzaghi non prevede. Un lavoro più metodico, quello di Bollini; uno basato più sulla libera espressione del talento, quello di Inzaghi. Il lavoro di Bollini ha pagato con una finale, uno scudetto e la promozione in prima squadra con (quasi) pieni poteri; Inzaghi sta seguendo la stessa strada; De Rossi, invece, la strada l’ha fatta restando fermo.
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