rassegna stampa

Braschi: “Arbitri in crescita ma dividere A e B è stato un errore”

Tempo di bilanci e di un paio di consigli «pesanti» ai vertici del calcio da parte del designatore uscente.

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 La nomina arrivò dopo il flop della Nazionale in Sudafrica, l’addio segue il mesto ritorno a casa dell’Italia «brasiliana». In mezzo 4 anni intensi e la gestione del gruppo di arbitri forse più importante d’Europa (e quindi del mondo). Stefano Braschi dalla prossima settimana non sarà più il designatore della Can A avendo raggiunto il limite massimo previsto. E mentre l’Aia discute sul nome del successore (in corsa Roberto Rosetti, Domenico Messina e Stefano Farina), si gode le meritate vacanze prima dei saluti finali, previsti mercoledì a Roma. È il momento dei bilanci e di un paio di consigli «pesanti» ai vertici del calcio. 

Braschi, l’Italia è un paese di c.t. dalle idee diverse, ma sugli arbitri c’è quasi il pensiero unico: è sempre colpa loro...«Questione di mentalità e mancanza di cultura sportiva. Il corto circuito inizia nei settori giovanili, dove gli educatori spesso sono i primi a dare il cattivo esempio. Per non parlare dei genitori... Poi ci meravigliamo se accadono incidenti o cose peggiori. Noi paghiamo ogni stagione un prezzo duro: le aggressioni fisiche ai giovani colleghi sono una vergogna». 

Lei ha gestito l’élite del movimento: qui le aggressioni sono «solo» verbali.«Certo, ma il meccanismo è perverso: non accettare la decisione di un arbitro in modo plateale in campo oppure alimentando polemiche infinite sul nulla, scatena riverberi nelle categorie inferiori. I mass media dovrebbero riflettere sull’uso di certe parole». 

Criticare è lecito.«Ci mancherebbe, nessuno lo nega. Sono le crociate che non vanno bene. Utilizzare l’arbitro come alibi è la cosa più semplice per allenatori, dirigenti, calciatori e tifosi. E qui torniamo alla cultura sbagliata. Fuori dall’Italia le cose girano in modo diverso». 

È vero che non ammettete mai i vostri errori?«E chi lo dice? Li ammettiamo eccome, negli incontri con i club ad esempio. Se poi per errori si intende il fuorigioco di 10 centimetri oppure un rigore dubbio su un episodio che richiede discrezionalità, allora non ci siamo. In questi 4 anni ci sono state sviste importanti che avremmo dovuto evitare, ma si contano su una mano. Forse due». 

Bilancio positivo, quindi?«Sì, sono soddisfatto. Abbiamo fatto un bel lavoro e sono orgoglioso di un fattore: il gruppo arbitrale è unito più che mai. Non ragionano più da singoli, ma come una squadra. Poi ci sono altre questioni». 

Prego, ascoltiamo.«Il numero dei fischi in una gara è diminuito in modo sensibile. La A è ora dietro soltanto alla Premier. La velocità del gioco e la spettacolarità ne hanno guadagnato. Poi siamo stati attenti a far diminuire i falli violenti, con espulsioni e gialli in serie. Migliorata anche la questione trattenute in area». 

Punti dolenti?«Le proteste sono ancora tante, sulle trattenute si può fare di più. In ogni caso c’è sempre margine per migliorarsi. E comunque c’è un altro aspetto che secondo me va rivisto». 

Quale?«Lo dico da allenatore, la decisione spetta ad altri: la divisione in due della Can non aiuta. È fondamentale per gli arbitri di A e B allenarsi insieme, respirare la stessa aria. Ne va della crescita dei futuri internazionali. E poi gli addizionali in questo modo possono solo fare meglio». 

A proposito, esperimento riuscito?«Riuscitissimo: sono fondamentali in tante situazioni. Pure in Brasile sarebbero stati utili...». 

C’era la tecnologia, un suo parere?«Okay sul gol non gol, sul resto dico no. Meglio gli addizionali». 

Altri consigli su regole da cambiare?«La tripla sanzione è ingiusta, basta il rigore e un giallo». 

Al Mondiale c’è un «suo ragazzo», Rizzoli.«Spero vada avanti il più possibile, se lo merita. Come si meritava di essere in Brasile Rocchi. Ma nelle scelte della Fifa sugli arbitri la meritocrazia non è al primo posto. Ne so qualcosa...». 

Al nuovo designatore ha qualcosa da dire?«Troverà un gruppo forte e unito».