(Il Romanista - M.Izzi) Rientrando nel centro tecnico Fulvio Bernardini Zeman ha fatto un tuffo nel passato ispezionando con curiosità e apprezzamento tutte le strutture interne che non aveva avuto modo di conoscere nel suo passato giallorosso.
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Zeman: “Sono fortunato perché io sono qui”
(Il Romanista – M.Izzi) Rientrando nel centro tecnico Fulvio Bernardini Zeman ha fatto un tuffo nel passato ispezionando con curiosità e apprezzamento tutte le strutture interne che non aveva avuto modo di conoscere nel suo passato...
Un personaggio sempre ironico e pungente, ma anche attentissimo al rispetto degli avversari e dell’etica professionale. Zeman, non è solo un allenatore, è uno stile di vita, ora che siamo vicini alla partenza del suo nuovo ciclo tecnico nella Roma, ci è sembrato giusto riproporre una carrellata di alcuni aspetti curiosi, divertenti o semplicemente paradigmatici dei primi giorni dell’avventura giallorossa di questo grande tecnico del calcio italiano iniziata nel 1997. Il 30 gennaio 1997, a tre giorni dall’esonero dalla Lazio, Zeman concede un’intervista a Mario Sconcerti, all’epoca direttore del Corriere dello Sport, per molti aspetti illuminante. Tra le altre cose gli viene chiesto: «La Lazio l’ha sempre aiutata...». «No, non direi. Anzi, non mi ha sicuramente aiutato a portare avanti le mie idee» (…) Riprenderebbe Nedved? O lo giudicherebbe non adatto a questo centrocampo? «(…) Considerato tutto, per me ha avuto un rendimento ottimo. Cragnotti per esempio, mi ha detto che per lui Nedved recupera pochi palloni. Glielo avrebbero dimostrato certi calcoli di un suo collaboratore (…). Potrei dimostrargli che Nedved ha recuperato duecento palloni più degli altri (…)». Allenerebbe la Roma? «Sono un professionista. Mi facesse un’offerta valuterei volentieri».
Il 14 luglio 1997 la Roma si raduna a Trigoria, con il corredo commovente di una folla entusiastica. Nella conferenza stampa, a presentare il tecnico al suo primo giorno di lavoro ci sono il presidente Franco Sensi e il consigliere Nils Liedholm, vale a dire il presidente del terzo scudetto e l’allenatore del secondo. Nella sala stampa di Trigoria vengono dette molte cose interessanti, almeno due sono tra quelle che è impossibile scordare. La prima la pronuncia Liedholm quando parlando di Totti (e siamo, è bene ricordarlo, nel 1997 al termine di una stagione iniziata con un certo Carlitos Bianchi), lo definisce una «leggenda vivente», la seconda spetta a Zeman: «Sono fortunato per il solo fatto di trovarmi qui, a quest’ora, come tecnico della Roma. Io pensavo alla Roma quando Sensi non aveva ancora pensato a me». Nelle ore che precedono la partenza per il ritiro di Kapfenberg si fa un gran parlare dei metodi di allenamento del nuovo Mister. Si fa riferimento con accenti epici al primo ritiro della Lazio ad Abtwil dove, secondo quanto scrive Alberto Dalla Palma, «trattenne la squadra fino ai limiti dello sfinimento, organizzando un’amichevole ogni 48 ore nel tentativo di addestrare il gruppo ad un nuovo tipo di gioco». Zeman è preceduto da aspettative enormi con cui convive, cercando però di riportare discorsi, valutazioni e giudizi sui binari della realtà. Ecco dunque che quando Bruno Ripepi, per conto della rivista ufficiale del Club, gli chiede: «Vogliamo sfatare la leggenda di Zeman che sottopone i “suoi” ad un super lavoro quotidiano?», risponde serafico: «Non voglio sfatare proprio nulla. Il calcio, e quindi i calciatori sono quelli che nello sport si allenano di meno. Nelle altre discipline sportive, nuoto, atletica, pentatlon, ci sono atleti che si “ammazzano” per migliorare un record di un centimetro, di un decimo di secondo. Lo fanno gratis. I giocatori, con quello che ne guadagnano, possono sicuramente impegnarsi di più. Diviene quasi obbligatorio. In senso morale e nel senso dei risultati personali, che non sono per me, ma per loro stessi».
Signor Zeman, perché sempre e comunque la sua tattica si rifà a un rigido 4-3-3? «(…) Il 4-3-3 è da sempre il sistema migliore fino ad oggi per coprire ogni zona del campo. Provate a dimostrare il contrario. Ripeto, è un fatto matematico». La chiarezza, la semplicità, l’onestà intellettuale e la disponibilità al contraddittorio ragionato con cui Zeman affronta le questioni lasciano spesso gli interlocutori spiazzati. Da parte sua Vincenzo Cangelosi, all’epoca da nove anni nello staff del boemo commenta: «Lo conosco dal 1974. Feci un provino per gli esordienti del Palermo e lui mi scelse. Giocavo portiere (…). Noi, mi ci metto anche io, abbiamo fatto tanta gavetta, tanto settore giovanile, dove conosci il calcio dall’A B C, dove vedi l’evoluzione del giocatore, ne studi le caratteristiche nei minimi particolari. Questa trafila implica capacità di studio, di applicazione (…)». E’ questo uno dei segreti di Zeman, la capacità in tutti i contesti in cui ha lavorato, dalla serie C alla serie A, di portare un “approccio” che implica applicazione di metodiche acquisite ma anche “studio”, “osservazione”, “analisi”. Per questo ancora oggi il tecnico della Roma è un allenatore “giovane” e in “ascesa”. Può sembrare scontato, ma non lo è affatto. La Roma parte verso il ritiro, si fa uno scalo tecnico a Vienna. Zeman tra un carrello di bagagli e l’altro vede spuntare una racchetta. Il Mister chiede: «Chi è venuto a fare le vacanze? Che gioca a tennis dopo l’allenamento?».Di Biagio che sa di cosa si sta parlando sgrana gli occhi. Verrà fuori che la valigia è di un giornalista, Zdenek commenta sorridendo: «Ah, giornalista? Comoda la vita è? Se vuole mantenere la forma può anche fare il lavoro della squadra… stesse razioni, stesse fatiche».
Ed eccoci dunque al ritiro di Kapfenberg. Zeman dà tutto se stesso, un appunto? Sì, quello del fumo, il Mister, concentratissimo, si fa del male fisico. Giorgio Rossi la mattina non riesce a vederlo quando entra nella sua stanza. E’ avvolto in una nuvola di fumo mentre una stampante gracchiante già sputa fuori una serie di dati e tabelle che verranno lette, analizzate confrontate. Gaetano Imparato ha anche provato ad azzardare un calcolo e parla di: «centotrentaseimila lire da mandare in fumo in 20 giorni, circa 5 stecche di sigarette comprate al freeshop di Fiumicino». Quando il sole ha appena fatto capolino lui ha già inforcato la bicicletta, segue la corsa dei ragazzi in mezzo ai boschi. Delvecchio è una freccia, stacca tutti. Lui è lì, ad osservare. La bici ha il contachilometri, un mollettone porta taccuino, il sellino a strisce giallorosse. Al collo un cronometro particolare con una «stampante incorporata per fissare immediatamente i tempi di tutti e comporre in tempo reale il lavoro della squadra». La squadra corre, corre, corre... quasi 200 chilometri nelle varie sedute. Nel computo non sono conteggiate le passeggiate sui gradoni dell’Alpenstadion, indossando giubbotti imbottiti di piombo del peso di 22 chili. C’è spazio anche per imprevisti eclatanti. Un giorno, mentre è intento a sorvegliare il lavoro, Zeman si accorge di una signora anziana che, a bordo del sentiero, si è accasciata a terra. Il Mister chiama Konsel e gli chiede di fare da interprete. I sintomi sono allarmanti, e ci si precipita a chiamare Ernesto Alicicco e Giorgio Rossi che scongiurano un problema che poteva trasformarsi in un dramma. Il lavoro intenso coinvolge anche Liedholm che ha seguito la squadra e che ogni mattina svolge i suoi esercizi di stretching, oltre a tenere una conferenza per 100 tecnici delle giovanili dilettantistiche austriache.
I giorni del ritiro sono utili e sufficienti ad evidenziare un feeling. Totti dichiara: «So che con lui (Zeman N.d.A.) posso segnare caterve di gol raggiungendo la consacrazione effettiva». “Lui” da parte sua osserva: «Sapevo che ha un buon bagaglio tecnico, ed è vero ro. M’ha stupito come ragazzo (…)». Ama scherzare Zeman, lo si vede una volta di più quando i tifosi del Personal Jet capeggiati da Nilo Josa e Fabrizio Grassetti organizzano il tradizionale saluto beneaugurante. Quando gli viene chiesto in coro: «Portaci, portaci, portaci in Europa», la risposta arriva accompagnata da un sorriso sornione: «Ma se all’estero vi ho già portato in ritiro. Siamo in Austria o no?». Tutto il lavoro, i sacrifici sul campo, le interviste spese a spiegare gli obiettivi della metodologia, a decifrare i risultati delle amichevoli precampionato... tutto questo si risolve nella prima partita di campionato. La Roma scende ad Empoli, i fotografi ritraggono i due allenatori, Zeman e un certo Spalletti, nella stretta di mano d’inizio gara. L’Empoli è una squadra tosta, con un allenatore tosto. Una squadra organizzata che a fine stagione chiuderà all’11 posto conquistando una tranquilla salvezza. La Roma però, contro questa bella realtà sembra una squadra dell’altro mondo. I giallorossi volano, bruciano l’erba, segnano tre gol, colpiscono un palo e creano un’altra mezza dozzina di occasioni da rete. Il Messaggero titola: “Roma, uno spettacolo”, Il Tempoè ancora meno diplomatico: “La Roma c’è. Distrutto l’Empoli”. La Gazzetta dello Sportparla di “Lezioni di zona”.
Era nata la Roma di Zeman una squadra veloce, aggressiva, organizzata, con un’identità e una filosofia ben delineata. Della tattica, del suo gioco si è appena iniziato a parlare, spesso a sproposito, ancora un anno più tardi, Zeman tornerà sul tema del modulo: «Si fa un gran parlare del 4-3-3 che sarebbe immodificabile. Ho sempre detto, e mi ripeto, che lo uso perché è la migliore soluzione per coprire tutte le zone del campo adeguatamente. Nessuno ancora, nemmeno geometricamente è riuscito a convincermi del contrario. Non sono d’accordo sul fatto che il mio modulo sia immodificabile. Quando inizia una gara si prendono i punti di riferimento e le fasi di una partita ti portano ad essere, in campo, anche in maniera diversa da come inizi. Il mio non è un 4-3-3 rigido: se attaccano gli esterni difensivi, Cafu e Candela e se addirittura lo fanno insieme diventa un’altra cosa, specie se l’avversario gioca con una sola punta. Può modificarsi se i due esterni d’attacco sono più a ridosso del centrocampo, se pensano cioè più alla fase di copertura come successo in qualche partita». Il ragionamento sugli schemi è già iniziato, troveremo senz’altro uno Zeman cresciuto ma sempre pronto a “studiare” e ad “insegnare” calcio.
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