(di Alessio Nardo) Suonerà un po’ strano chiamarlo mister, sarà curioso vederlo lì a bordocampo, braccia conserte, in panchina. Lui che la panchina l’ha sempre odiata, lui che da giocatore di restar fuori non ne voleva proprio sapere. Un tipo orgoglioso, carismatico, a dispetto del metro e settantadue d’altezza e di un fisichino tenero e grazioso. Vincenzo Montella inizia la sua nuova avventura da allenatore romanista a nemmeno due anni di distanza dall’addio al calcio giocato in un caldo pomeriggio di luglio 2009. Sembrava esser la fine di un lungo sodalizio, vincente e soddisfacente. Ma all’ambiente che tanto lo ha amato Vincenzino voleva restar legato, e la Roma gli offrì un posticino nel settore giovanile, sulla panchina del Giovanissimi Nazionali. Pochi mesi dopo eccolo lì, a far da solido traghettatore e a raccogliere i cocci dell’ultima gestione Ranieri. Una missione dura, difficile, in un deserto di idee e progetti societari. Un compito da lupi, da romanisti veri. E Vincenzo lo è, dall’ormai lontano 1999.
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Topgun Montella: il nuovo decollo
(di Alessio Nardo) Suonerà un po’ strano chiamarlo mister, sarà curioso vederlo lì a bordocampo, braccia conserte, in panchina.
GLI ANNI DELLA GLORIA – Fu Zdenek Zeman, il boemo più famoso d’Europa, a segnalare a Franco Sensi il nome di Montella in vista della stagione ’99-2000. Il presidente colse al volo l’idea e strappò alla Sampdoria il giovane attaccante, approfittando della crisi tecnica e societaria in seno al club blucerchiato. Ma anziché a Zeman, l’Aeroplanino fu consegnato nelle mani di Fabio Capello, baluardo di un progetto nuovo e competitivo. Tra Montella e l’ambiente giallorosso fu subito grande amore: 18 gol il primo anno, tiepida consolazione per un 6° posto scialbo ed uno scudetto laziale mai digerito. Ma proprio nella Lazio, Vincenzino trovò un facile bersaglio: due gol nel derby d’andata vinto 4-1 ed uno nella stracittadina di ritorno persa 2-1. Subito leader, subito punto fermo dell’attacco. Per i tifosi, non per Capello. Don Fabio sognava un centravanti diverso, più forte fisicamente. Nel maggio del 2000 arrivò Batistuta e furono scintille. “Il numero nove? Se lo scorda..”, questo il messaggio di benvenuto di Montella al nuovo compagno. Non ci fu mai simpatia reciproca, ma insieme i due fuoriclasse trascinarono la Roma alla conquista del terzo scudetto: 20 gol Bati, 13 Topgun (e 13 Totti). Il 17 giugno fu il giorno del trionfo, una settimana dopo la celebre lite al San Paolo tra Vincenzino e Capello con lanci di bottigliette, insulti e vaffa colti in pieno dalle telecamere. L’anno dopo arrivò il successo in Supercoppa Italiana (3-0 alla Fiorentina, reti di Candela, Montella e Totti) e un 2° posto in campionato ad un solo punto dalla Juve trionfatrice. Con Batistuta in chiara fase di declino, fu l’Aeroplanino a guidare a suon di gol i giallorossi. Da ricordare, come non farlo, lo storico poker inflitto alla Lazio nel derby del 10 marzo 2002: 5-1, una stracittadina indimenticabile. Seguirono un paio d’annate meno fortunate (solo 14 reti nei due successivi campionati, anche a causa di pressanti problemi fisici), prima della stagione 2004-2005. Montella, a soli 30 anni, per molti era un giocatore finito. Il campo disse altro. Nell’esordio in campionato egli fu il match winner contro la Fiorentina. Una corsa sfrenata sotto la Sud a voler ribadire che lui c’era ancora. Primo di ventuno gol totali che consentirono alla malconcia Roma dei quattro allenatori di salvarsi ad una giornata dalla fine.
LA DISCESA – L’ambiente uscì dall’inferno di una stagione nera, ma quantomeno potè consolarsi con il definitivo rilancio di Montella. Ma dal 2005 in poi, la carriera dell’attaccante napoletano incontrò una discesa continua e costante. Motivo? I problemi fisici (soprattutto alla schiena) che non gli diedero pace. In più, Vincenzo riassaporò gli anni delle diatribe capelliane incontrando Luciano Spalletti, un altro con cui i rapporti non sono mai stati floridi. Il primo anno andò male, malissimo: poche presenze, un solo gol (all’Inter nella vittoria per 3-2 a San Siro). A fine stagione in molti paventarono il divorzio, ma Montella non ne volle sapere di lasciare Roma. Il suo desiderio era di provare a rinascere, a superare i guai fisici e a tornare l’Aeroplanino volante anche a 32 anni suonati. E gli inizi della stagione 2006-2007 sembrarono promettere bene: Montella andò in gol a Parma, piegò l’Empoli in casa e regalò a Spalletti i quarti di Coppa Italia battendo da solo la Triestina in due set (doppietta al ‘Nereo Rocco’ e gol nel ritorno all’Olimpico). Tuttavia, Luciano di Certaldo continuò a non considerarlo un titolare. Nel suo 4-2-3-1 c’era posto per Totti davanti, non per Montella. A natale la Roma annunciò l’acquisto di Tavano, e a fargli spazio fu l’ex scudettato. Via, in prestito al Fulham per sei mesi. L’avventura in Inghilterra gli regalò appena tre gol. Non un granché. Si ritorna in Italia: nell’estate del 2007 la Roma lo cede nuovamente in prestito alla Sampdoria, ma i tormenti non ne vogliono sapere di abbandonare il fisico del ragazzo. Solo 12 presenze in tutto il campionato e 4 reti. A fine anno Montella si ripresenta a Roma con un obiettivo: chiudere la propria carriera nella Capitale, rispettando gli ultimi due anni di contratto. Spalletti gli concede qualche scampolo: da professionista inappuntabile Vincenzino risponde presente ed è tra i protagonisti dello sfortunato ottavo di finale di Champions con l’Arsenal, realizzando uno dei rigori nella roulette decisa dall’errore di Tonetto. Finisce la stagione, e nel luglio successivo tutti aspettano anche il vecchio Montella per l’inizio del ritiro a Riscone di Brunico. Un’attesa vana.
LA NUOVA SFIDA – Ventiquattro ore prima della partenza per il Trentino, l’ormai 35enne attaccante annuncia il ritiro dall’attività agonistica. Una mossa a sorpresa ma in fondo inevitabile a fronte di un fisico che da anni non rispondeva più a dovere, non consentendo al ragazzo di mantenersi competitivo a grandi livelli. Lui, calciatore e persona orgogliosa, non ha mai gradito presenziare per far numero. Ha sempre amato la ribalta, ha sempre desiderato esser protagonista e combattere battaglie dure ma al contempo affascinanti. Fare la quinta punta in organico e accontentarsi di qualche rara apparizione non era certo la sua ambizione. Meglio guardarsi intorno e progettare altro, anziché attendere un ulteriore anno di contratto. La Roma fu scaltra ad inserirlo immediatamente nello staff tecnico delle giovanili. Da giocatore ad allenatore, il passo è breve. Vincenzino accettò con gioia la proposta di guidare i Giovanissimi Nazionali con i quali, al primo anno, è riuscito ad imitare l’operato della Roma dei grandi di Claudio Ranieri. Grande cavalcata e sconfitta spiacevole nella finale di categoria. Già, Ranieri. Due percorsi che s’incrociano a sorpresa. Ma la storia è questa e racconta di un passato recente già remoto, primitivo. Ranieri c’era e ora non c’è più, fa già parte dell’archivio dei ricordi (dolci o amari, decidete voi). Nel limbo più totale sia societario che tecnico, torna lui, Vincenzino Montella, eroe di tante battaglie, pezzo di storia giallorossa e beniamino dei tifosi. Una scelta di fortuna, forse di ripiego. Una scommessa affascinante, dura e impervia. D’altronde, a Vincenzino le grandi sfide son sempre piaciute. In bocca al lupo, Topgun.
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