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Roma, un'intera stagione di sogni e fallimenti

(di Mirko Porcari) – “La Roma di oggi è una squadra da sesto posto, non possiamo competere per il vertice…“. Firmato Claudio Ranieri. In tempi non sospetti, poi.

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(di Mirko Porcari) - "La Roma di oggi è una squadra da sesto posto, non possiamo competere per il vertice...". Firmato Claudio Ranieri. In tempi non sospetti, poi.

Il salto indietro è quasi abissale, un rewind che ci porta all'inizio di questa sfortunata stagione: era bastato poco, al tecnico di San Saba, per capire che qualche cosa nella Roma non girava per il verso giusto. La portata della dichiarazione non era stata (giustamente) compresa nella sua interezza: mentre Borriello sbarcava a Trigoria, mentre la Serie A eleggeva i giallorossi come protagonisti annunciati, i tifosi sentivano il profumo di vittoria. Col senno di poi, vedendo cioè lo scempio del finale di campionato, il campanello d'allarme può essere tranquillamente riconsiderato: una disfatta annunciata, che assume un valore ancora più povero se si ricostruiscono tutte le tappe di un anno vergognoso.

Partendo da Ranieri e dal suo tentativo di avvertire in qualche modo l'ambiente, il resto ha costruito un "castello" fatto di banalità e musi lunghi. Come non ricordare la confessione di Perrotta, quel "non abbiamo gli stessi stimoli dello scorso anno" che ha fatto gridare da subito allo scandalo: squadra seconda ad un soffio dall'Inter, zero trofei in bacheca e "fame" di vittorie ai minimi sindacali. Qualcosa non quadrava, ma il tifoso, nella sua professione di fede, avanti a testa bassa nel dispensare amore e passione. Il bagno di folla per l’accoglienza capitolina di Adriano ne era stata da subito la conferma: calore al Flaminio per una scommessa dal sapore carioca, una fiducia mal ripagata dopo alcuni mesi di villeggiatura a tinte giallorosse.

L’inizio del campionato è un vero e proprio calvario, una spirale pericolosa che si dipana nei meandri degli egoismi e della individualità: c’è Ranieri come comandante, ma l’ammutinamento è dietro l’angolo. Se si pensa alle opportunità che la Roma ha avuto per riprendere quota in classifica, risulta ancora più sconcertante ricordare che, dopo la vittoria di Milano contro i rossoneri, la vetta era lontana una manciata di punti. La squadra cerca di “campare di rendita” grazie alla striscia positiva nei derby e intanto le crepe diventano fratture: Adriano vola in Brasile, tra feste e fermi della polizia, Pizarro si rifugia in Cile per difendersi dall’ostracismo di Ranieri. L’ex Imperatore monta le tende tra le spiagge di casa, il Peq si barrica dietro un infortunio che sa di diplomazia. L’orizzonte è Bologna ed una neve che spazza via gli ultimi residui di credibilità: la partita è rinviata, al Dall’Ara inizia il black out romanista.

La società è in vendita, la parola d’ordina diventa “indiscrezione”: arabi, italiani, americani. Sembra una barzelletta, eppure la stagione della Roma finisce lì, quando inizia il tira e molla tra la Capitale e Boston. Gli zii d’America sono sei, poi diventano cinque, infine rimangono in quattro: mentre nella Città Eterna si scatena il finimondo, oltreoceano si continua a lavorare sotto traccia. Forse anche troppo. Nessuno sa, pochi capiscono, tutti immaginano: ballano cifre, nomi e cognomi, nell’attesa che venga svelato qualcosa i tifosi invecchiano lentamente.

E la squadra? Bè…Si continua a parlare, tra proclami di unità e giuramenti di amicizia: un po’ tutti si affrettano, a turno, ad assicurare che “lo spogliatoio è solido, fatto di gente perbene ed un gruppo compatto”. La fiera della banalità, rotta dalle uscite estemporanee di Ranieri, ormai dimissionario e quindi fuori dal caos: “Ci voleva la frusta...” le sue parole prima di scappare da Trigoria, una fotografia generale che viene condita pochi giorni dopo. “Quando sarà il monento parlerò, per ora mi sento di dire che il mio allontanamento non è stato sponsorizzato da Totti, anzi…Il capitano è più solo di quanto si creda…”. Una carezza in un pugno, una dichiarazione che solleva il velo sulla realtà della Roma: il numero 10, dal canto suo, strizza l’occhio all’ex allenatore quando rivela di perdere il sorriso quando entra al Fulvio Bernardini, ma il cuore giallorosso gli consiglia di correggere il tiro, mitigando il suo pensiero con un più neutro “va tutto bene”. Storie di un anno, pensieri più o meno nascosti: cambia il tecnico e con lui amici e nemici.

Vincenzo Montella viene catapultato in prima squadra, dai ragazzi delle giovanili ai bambini con la maglia dei grandi. Altro mondo, altri orizzonti. Prima dichiarazione ed è subito sera: “Doni è più forte di Julio Sergio, quindi sarà lui il titolare”. Con un colpo di spugna l’aereoplanino si dimentica dell’anno e mezzo da protagonista dell’ex “miglior terzo portiere del mondo”, sdoganando l’arrugginito numero 32. E’ gioco facile unire i puntini che hanno portato ad una scelta tanto rischiosa: i messaggi di stima verso l’ex titolare da parte di Totti ed una presa di posizione netta di Daniele De Rossi, pronto nell’affermare che “Doni, dopo Buffon, è il portiere più forte con cui abbia giocato”. Punti di vista certo, ma che Montella non ha di certo sottovalutato.

Capitolo a parte per Marco Borriello: con Ranieri sono litigate e gol a grappoli, tra plateali contestazioni (“tiene in panchina me che ho fatto 25 mila gol?” lo sfogo dell’attaccante in Eurovisione mentre la squadra affondava all’Olimpico contro lo Shaktar) e maliziose frecciatine (“Borriello deve imparare a gestire il suo modo di fare” l’ammonimento a più riprese dell’ex mister), con Montella sono silenzi e panchine a raffica. Certo, l’esplosione di Totti non lo aiuta di certo, ma il bomber campano vede sempre meno il campo.

Più o meno è la stessa involuzione patita da Menez, anche se in questo caso le storie cambiano sensibilmente: se l’ex milanista prova a “bruciare” il rettangolo verde ogni qual volta viene chiamato in causa, il francese trotterella amabilmente in zona trequarti. Il fantasista transalpino inizia a fiutare l’aria e, come può, spara a zero sul nuovo allenatore: dalla madrepatria saluta Montella con un censurabile “è stato poco onesto con me”, tanto per porgere l’altra guancia, quando va in campo resta solo l’immagine di giocate passate, tra l’altro sotto la guida di Claudio Ranieri. Poca roba insomma, più o meno quella che si è tentata di racimolare per cercare di trattenere Philippe Mexes: contratto scaduto ed accordo quadriennale con il Milan, forse un giorno verrà qualcuno a spiegarci il perché di tutto questo(e altro, come per esempio i tre milioni di euro garantiti ad Adriano per un pugno di immobili minuti), una “paciosa” serenità nel perdere a parametro zero un top player.

Mentre la stagione della Roma si sgretola partita dopo partita, continua lo stillicidio intorno alle vicende societarie: la luce si accende, per un attimo, ad aprile, con un’apparizione fugace di Thomas DiBenedetto ed un “Forza Roma” seguito da un sorriso. Tutto rimandato a Boston, quando si legano i destini giallorossi dei neo innamorati della Roma: una maglietta, una penna e una torta per sancire l’inizio di una svolta epocale, giusto il tempo di cominciare a sognare prima di ripiombare nell’oblio della burocrazia. Dagli States all’Italia, un salto indietro che sa tanto di involuzione: dichiarazioni con il contagocce, passaggi misteriosi tra Consob e Antitrust ed una gerarchia che fatica a risultare comprensibile.

Il blitz di James Pallotta, stralunato e quasi infastidito dallo scetticismo galoppante, non fa che acuire la fame di verità che attanaglia i tifosi giallorossi: “Abbiamo i soldi e vi faremo felici”, una confessione “strappata”, un contentino minimo per placare gli animi già provati dai risultati di un anno da dimenticare. Da tempo non c’è più un presidente, ci prova Montali a tenere legata una parvenza di gruppo, con oscillazioni che vanno dalla tenacia ad oltranza (“ci crediamo, siamo la Roma” una specie di motto a cadenza domenicale) alla resa più totale, soprattutto negli ultimi tempi (“chi parla della Roma deve farlo con cognizione di causa” riferendosi alla Opengate, oppure “i nuovi proprietari dovranno fare chiarezza sul futuro, soprattutto per i tifosi” in relazione alla telenovela con la cordata statunitense).

Parole più fatti, questa è la realtà della Roma e l’accezione del binomio non è di certo positiva: dalle lacrime di Rosella Sensi alla speranza verso nuove frontiere, il domani è alle porte…basta farsi trovare pronti.