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Quando Camiglieri diceva: «Stadio all’inglese? No all’americana»

(Tratto da “Il Romanista” dell’11 settembre 2008) Continua l’interesse de “il Romanista” sulla questione-stadio. Oggi intervista a Tullio Camiglieri, presidente della società di public affairs e comunicazione...

Redazione

(Tratto da "Il Romanista" dell'11 settembre 2008) Continua l'interesse de "il Romanista" sulla questione-stadio. Oggi intervista a Tullio Camiglieri, presidente della società di public affairs e comunicazione Open Gate Italia.

«Roma è un terreno più che fertile per gli investitori stranieri. Ma per lo stadio, quello all’americana, finora sono mancati degli interlocutori nelle società». Ovvero, Roma e Lazio. Oddio, trovarli è il suo lavoro. Tullio Camiglieri, docente di Marketing alla Sapienza, ha fondato a maggio la Open Gate Italia. Tradotto per i non addetti ai lavori, una società di intermediazione. I clienti, possibilmente grossi e facoltosi, si rivolgono a loro «per favorire - come ama dire Camiglieri - il dialogo politica-industria». Anche se l’ex numero uno della comunicazione di Sky preferisce sorvolare, la Open Gate ha ricevuto la disponibilità di un fondo arabo, quello sovrano del Qatar, per costruire uno stadio. In Italia. Possibilmente, a Roma.

Uno stadio nuovo,ok. Ma come dovrebbe essere,Camiglieri?«Due sono le alternative. O un impianto classico, come l’Allianz Arena di Monaco di Baviera o quelli inglesi, dove però il business si fa solo per 90’, ogni due settimane. E i ricavi sono quelli dei biglietti. Oppure, lo stadio all’americana. Che invece può essere vissuto sette giorni su sette. Gli investitori stranieri sono interessati solo a questo secondo modello»

Per quale ragione?«Negli Usa gli stadi del soccer non sono solo per il soccer. Gli stranieri sono interessati a delle strutture polifunzionali, che permettano di praticare il maggior numero di sport, sempre sfruttando il nome della squadra di calcio, dove ragazzi e famiglie possano spendere il loro tempo libero. In America, gli stadi si trasformano in un batter d’occhio in arene per concerti, con una copertura scrupolosa del manto erboso. Vede, io sono stato allo Stamford Bridge, la casa del Chelsea. È una bomboniera».

Non sosteneva poco fa che il modello americano fosse migliore?«Aspetti. Dicevo: quella è già una struttura parecchio più evoluta dei nostri antiquati impianti. Lo sa che all’Olimpico non si può cucinare? Un regolamento comunale vieta la ristorazione. Ha mai visto una bevanda calda in curva Sud?».

No. «Ecco. Beh, noi vorremmo una struttura ben diversa da quello del Chelsea. Migliore pure del modello americano, che puntiamo ad evolvere. Immagini un posto dove si trova di tutto. Persino gli studi televisivi di proprietà del club, che gestirebbe le immagini dei match autonomamente. Solo così si può mettere a frutto l’investimento che viene sostenuto da un privato».

Quanto dovrebbe essere grande la struttura?«Un impianto per 50mila persone sarebbe sufficiente. È finito il tempo dei Maracanà. Gli stadi da 100mila posti servivano quando non c’era la pay tv».

Costi e tempi?«Dipende tutto dal tipo di struttura che si ha in mente. Se si vogliono costruire cinque piani sotto terra, si spende “x”; altrimenti, “y”».

In ogni caso,una somma di denaro ingente.«Chiaro. Il progetto si può portare a compimento solo se dietro ci sono degli investitori solidi».

E per Roma ci sono?«No comment».

Però, c’è un interesse concreto di soggetti stranieri per l’Italia. Giusto?«Assolutamente sì. Ed è molto più che concreto. Presto, annunceremo un investimento che riguarda proprio il nostro Paese».

E... «E non Roma o Milano. Le evito di sprecare il fiato»

D’accordo.Ma Roma non è un terreno fertile?«È più che fertile. Però, bisogna prima cambiare un tipo di cultura».

Cioè? «Per lo stadio all’americana, il ruolo della squadra di calcio è importante. Ma è pur sempre solo un elemento della catena. Non bisogna pensare a una struttura dedicata esclusivamente al pallone. Mi spiego meglio. Immaginate le spese necessarie per una struttura come l’Olimpico. Finché pagavano gli enti locali o il Coni, nessuno ci badava. Se però la gestione deve essere affidata a un privato, lo stadio deve portare dei ricavi certi».

Che ammonterebbero a...?«Anche qui, bisogna capire che stadio si vuole. Se fosse all’americana, pure l’80% degli utili».

Il Campidoglio quale ruolo ha?«Il Sindaco Alemanno ha ragione a non voler sfruttare le risorse comunali. L’ente locale ha il compito di individuare l’area, modificare eventualmente il piano regoltore e fornire le licenze. Il resto, e parlo delle opere pubbliche necessarie a rendere l’impianto fruibile da tutti, deve essere pagato dal privato».

Ricapitolando: ci occorre una struttura polivalente. A Roma, dove si potrebberealizzare?«Fuori dal Raccordo. Per decongestionare il traffico e ovviare a qualsivoglia problema di parcheggio. Però, mi creda, la “questione romana” non è stata approfondita. Abbiamo verificato solo l’interesse di potenziali investitori. Ma anche che non c’erano le condizioni per proseguire».

Perché? «Roma è un polo di grandissimo interesse. È una ghiottissima opportunità. Ma perché qualcosa si faccia, bisogna avere degli interlocutori nei club. Attenzione, non è detto che Roma e Lazio non possano costruirsi uno stadio da sole. L’unica certezza è che entrambe le società, attualmente, alla voce "stadio" registrano perdite». (Daniele Galli)

Di fondi esteri però la presidente Rosella Sensi non ne vuol sentire parlare.