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Preparate le coronarie. Arriva lo zemaniano Luis Enrique

(di Andrea Corradetti) 4-3-3. Una profezia? Una formula magica? Una catastrofe? Niente di tutto questo. 4-3-3 è un modo di essere. Un’ideologia. Un over fisso.

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(di Andrea Corradetti) 4-3-3. Una profezia? Una formula magica? Una catastrofe? Niente di tutto questo. 4-3-3 è un modo di essere. Un’ideologia. Un over fisso.

Un pericoloso mix tra cardiopalma e voglia di divertirsi. La convinzione che si può vincere facendo anche un gran calcioperché alla fine, poi, questo sport non è mica così difficile: segni un gol più degli altri e vinci la partita. Ma non vi sembra un film già visto? Stagione 1997/1998. Reduci da una salvezza raggiunta alla quart’ultima giornata, i tifosi giallorossi non ne possono veramente più: basta Mazzone, basta Carlos Bianchi e soprattutto basta noia. Serve una scossa. Un tecnico che sappia non solo portare la Roma a risultati migliori, ma che sappia soprattutto stupire e far divertire. Identikit questo che presto ebbe il suo interprete in Zdenek Zeman. Due le stagioni in giallorosso, nessun successo, ma finalmente il bel gioco. Improvvisamente la Roma divenne bella. Terzini attaccanti, centrocampisti motorini e attaccanti felici. I numeri? 0 titoli, 2 qualificazioni in Coppa Uefa, 2 volte migliore attacco e tanti tanti complimenti. Il boemo, infatti, era riuscito nella sua impresa: ottenere risultati più buoni (miglior piazzamento in classifica dopo il 1987/1988) e riportare finalmente entusiasmo.

Purtroppo però, lo sappiamo, il calcio è risultati e non si vince prendendo 91 gol in due anni. Va bene segnarne 4 all’Inter di Ronaldo, ma quello che non va bene è prenderne 5 nella stessa partita. Stanco di tutto questo e stufo di pagare l’onestà del suo allenatore (inutile ricordare i torti arbitrali di quei due anni), Franco Sensi dunque disse basta. Era ora di vincere e in una squadra vincente il nome di Zeman non trova posto. Via il boemo, dentro il goriziano. Arrivò Fabio Capello ed il resto è storia.

Ora ci risiamo. Reduci da un cambio societario lungo ed estenuante, i tifosi giallorossi vogliono tornare a sognare. Non importa solo vincere, ma anche convincere. Basta pisolini lunghi match interi, il romanista vero ha voglia di divertirsi, pensare che giocare meglio degli altri, vincendo tutto, sia una realtà ipotizzabile non solo nelle fiabe. Dall’altra parte del Mediterraneo, c’è una squadra che vince ed incanta. Il suo nome è il Barcellona. Franco Baldini, tornato nel frattempo a dirigere la barca giallorossa, ne è consapevole, ma sa anche che arrivare al capo della ciurma sarà difficile. A questo punto, dunque, si opta per lo skipper di riserva, quel Luis Enrique che tanto ha saputo fare con la squadra B. “Non preoccupatevi” – pensano Baldini & co –“Il modello Barcellona è lo stesso. Poco importa che alla guida ci sia Guardiola o Luis Enrique. L’importante è trasportare la mentalità. Pulcini o Prima Squadra non fa nulla. In Catalogna si gioca così”.“Troppo bello per essere vero”(diciamo noi). Per scrivere la favola perfetta infatti servono i giusti interpreti.

Se non hai gli uomini giusti, poco importa l’idea. Perché se è vero che la squadra B segna tanto come quella A (85 gol contro i 95 di Messi & Co), è altrettanto vero che la squadra A incassa anche 3 volte meno i gol di quella B (21 contro 62). L’impressione è che la favola Barça abbia preso corpo solo perché nello stesso momento undici uomini giusti hanno saputo trovarsi nel posto giusto. Il Barcellona (quello vero) incanta perché è una macchina perfetta che sa equilibrare l’incredibile forza difensiva di Pique e Puyol con l’infinita classe offensiva di Messi e Iniesta. Non basta Luis Enrique. Se non si trovano i giusti attori, la recita rischia di finire come uno spettacolo senza Oscar: tanti complimenti, ma zero trofei. Ogni idea offensiva, se non trova una adeguara idea difensiva, non basta. Migliore attacco e peggiore difesa = 0 trofei. È questa la regola. Alla nuova Roma il compito di convincermi del contrario.