(di Alessio Nardo) Lo definirono "uomo dei sogni", dedicandogli anche un libro. E' vero. Mirko Vucinic è e resterà per sempre l'uomo dei sogni giallorossi. Quelli mai avverati, però.
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Mirko Vucinic, l'uomo dei sogni eterni
(di Alessio Nardo) Lo definirono “uomo dei sogni”, dedicandogli anche un libro. E’ vero. Mirko Vucinic è e resterà per sempre l’uomo dei sogni giallorossi. Quelli mai avverati, però.
E' arrivato il momento dell'addio: il montenegrino lascia Roma e la Roma dopo cinque anni intensi, sposando il progetto Juventus. Tradimento? No, ormai il suddetto termine risulta ripetitivo, irritante, fastidioso. Un po' come gli atteggiamenti di Mirko. Quel suo continuo ciondolare, l'abilità innata nel passeggiare per il campo in compagnia di uno sguardo perso nel vuoto. Se pensiamo a Vucinic, immaginiamo il suo volto. Spento, apparentemente triste, addormentato. Elementi contrastanti se si pensa ai lampi di classe cristallina espressi nel suo quinquennio romanista: attimi d'esaltazione pura, di gaudio calcistico ai massimi livelli. Rari, o per lo meno assai poco continui. Lo accogliemmo in tenerissima età (23 anni), lo salutiamo nel pieno della maturità (28), con la nitida sensazione di esserci persi l'evoluzione di un potenziale fuoriclasse.
Difficile, quasi impossibile stabilire se l'acquisto di Vucinic nel 2006 si sia rivelato agli atti un grande affare o un sostanziale bluff. La verità, come sempre, sta nel mezzo. Un po' di cose buone, molte altre meno. Di certo, l'ambita etichetta del 'fenomeno' non gli potrà mai appartenere, ed è un peccato. Le doti del campionissimo sono impresse nei dolci piedi di Mirko, purtroppo non nella testa. Stesso discorso già sviluppato nei riguardi di Jeremy Ménez: il talento, da solo, non basta. Per farsi largo nell'olimpo dei migliori, servono mentalità, cervello e cuore. L'importante è non cadere nel paragone più banale. In molti, negli ultimi tempi, hanno accostato Vucinic a Ménez e viceversa. Occhio. Se alcune caratteristiche dei due appaiono in effetti simili (quelle negative in particolare), sul piano dell'efficienza e del contributo fornito alla causa, Mirko vanta un enorme credito nei confronti del collega francese. Citiamo un dato emblematico: nelle sue tre stagioni romaniste, Jeremy ha collezionato appena un gol in più di quanti ne ha realizzati il montenegrino solo nell'ultima.
Vucinic ci ha fatto sognare, davvero. Sin dal suo arrivo. Prima stagione (2006-2007 ndr) difficile, condizionata da un infortunio pregresso: solo 3 gol. Il primo al Siena in campionato, il 28 gennaio 2007. Assist di Tavano, scatto bruciante dell'ex leccese e sinistro fulmineo sul primo palo ad incenerire Manninger. Sotto la Sud. Il più emozionante? 4 aprile, in Champions contro il Manchester United. Sull'1-1, scottati dal fresco pari di Rooney, godemmo nell'ammirare il graffio di rapina di Mirko su respinta corta di Van der Sar. Era l'andata, era un sogno. All'Old Trafford i sogni si spensero miseramente. Meglio sorvolare. Torniamo a Vucinic. Nella stagione seguente iniziarono i primi mugugni. Il gioiello del montenegro dava l'idea di non riuscire ad ingranare. Almeno fino al 23 ottobre, altra serata di Champions, stavolta con lo Sporting Lisbona. Uno dei gol più belli mai visti all'Olimpico: Mirko partì da sinistra, fece fuori l'intera difesa portoghese, rientrando sul destro dalla linea di fondo e sfoderando un terrificante missile sul secondo palo. Sempre sotto la Sud, infuocata di gioia per la grandiosa prodezza. Finì 2-1. Per la Roma, ovviamente.
Fu la svolta. Mirko svestì i panni del "caso umano" e iniziò a trascinare la Roma: indimenticabili i gol al Milan a San Siro (di testa, su traversone di Cicinho), il primo centro nel derby nel 3-2 alla Lazio e l'epica incornata in tuffo al 'Santiago Bernabeu". Poi, quel maledetto 18 maggio 2008: Catania-Roma, ultima giornata di campionato. Il sogno di uno scudetto vicinissimo, troppo vicino. L'assoluta perla di Vucinic ad inizio gara (un gol fantastico) illuse l'intero popolo giallorosso, prima che l'Inter di Ibrahimovic suonasse la carica al 'Tardini' di Parma. Enorme rimpianto, appianato solo in parte dalle tre coppe conquistate nel giro di un solo anno (due Coppe Italia ed una Supercoppa Italiana). Troppo forte la delusione per un tricolore sfuggito di un niente. Due stagioni più tardi, l'incredibile replica. Prima? Solo qualche lampo in un'annata deludente (2008-2009) chiusa al sesto posto in campionato: la doppietta al Chelsea in Champions resta un sublime segmento di storia romanista.
Mirko decide di dare il meglio di sé nell'annata 2009-2010. Dopo i primi tre mesi di sonno, realizza il primo gol in campionato al Bologna il 1° novembre. Una rete accolta dai fischi dell'Olimpico, imbelvito per il periodo nero della Roma (con Ranieri in panchina al posto di Spalletti). Da lì in poi, Vucinic non si ferma più. Il 18 aprile 2010 infligge una memorabile doppietta alla Lazio nel derby di ritorno, a coronamento di una leggendaria rincorsa scudetto. A quattro dalla fine, la Roma è davanti all'Inter. Poi arriva la Samp, Pazzini ferisce e si ritorna dietro. L'ultimissima chance? Il 16 maggio, altro scontro diretto a distanza con i nerazzurri all'ultima giornata. Come due anni prima, Vucinic dona al popolo giallorosso l'illusione più atroce. Sblocca il risultato a Verona contro il Chievo, De Rossi raddoppia e la Roma si ritrova in testa a 45' dalla fine. Ci pensa Milito, in quel di Siena, a fare l'Ibra della situazione: altra amara, cocente delusione. Ennesimo sogno in fumo. Per Mirko è l'ultimo bagliore di grandezza romanista.
L'ultima stagione ai piedi del Colosseo è un lento e malinconico percorso di separazione. S'inizia nel peggiore dei modi: il 24 agosto, durante la finale di Supercoppa Italiana a San Siro (sempre con l'Inter), Vucinic è protagonista del primo grave errore dell'anno, causando il pari di Pandev a fine primo tempo con un folle retropassaggio nell'area piccola dalla linea del fallo laterale. Ad addolcire il legame con l'ambiente non bastano, stavolta, i classici "colpi" del suo repertorio, peraltro sempre più rari. Proprio contro l'Inter, Mirko realizza un gol straordinario all'Olimpico il 25 settembre al 92', decisivo per il successo finale. Segna ancora nel derby (7 novembre, rigore del 2-0), sfodera un colpo da biliardo contro la Juventus in Coppa Italia il 27 gennaio mandando la Roma in semifinale. Per il resto, solo disastri. Prestazioni buie, un rapporto ormai logoro con i tifosi (stanchi del suo continuo caracollare), una serie di clamorosi gol falliti sul finire della stagione: col Palermo, col Chievo, con l'Inter (ancora!) in Coppa Italia. Il filo si rompe, non c'è più amore. Vucinic lascia in eredità 64 gol in cinque anni e s'inebria di Juventus. Chissà se in bianconero riuscirà fnalmente ad esaudire i suoi sogni.
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