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Lucho e Sdengo, due stakanovisti alla ricerca del calcio-spettacolo

(di Matteo Luciani) E’ di questa mattina la notizia che il nuovo tecnico giallorosso Luis Enrique ha deciso di dimezzare le sedute di allenamento settimanali fino alla gara prevista per il 12 agosto al “Mestalla” contro il Valencia di Emery,...

Redazione

(di Matteo Luciani) E’ di questa mattina la notizia che il nuovo tecnico giallorosso Luis Enrique ha deciso di dimezzare le sedute di allenamento settimanali fino alla gara prevista per il 12 agosto al “Mestalla” contro il Valencia di Emery, dopo aver visto la squadra piuttosto provata per le continue doppie sedute a cui era stata sottoposta.

Seppur non si possa definire un vero e proprio sergente di ferro, soprattutto per i modi amichevoli e aperti che è riuscito ad instaurare con gran parte della truppa giallorossa, il buon Lucho in questi suoi primi mesi romani ha impressionato soprattutto per l’attenzione quasi maniacale riservata ai metodi di allenamento. Un’intensità che, giurano molti addetti ai lavori, non si vedeva a Trigoria dai tempi di mister Spalletti. L’asturiano, infatti, propone spesso doppie sedute della durata di novanta minuti ciascuna. Con Ranieri, invece, gli allenamenti giornalieri erano un po’ più…”pigri”: circa quaranta minuti al giorno. Rispetto al tecnico toscano Luis Enrique in realtà predilige l’uso del pallone alla parte atletica, un’innovazione tipica dell’idea di calcio ispanica.

La figura, i metodi e la disposizione tattica dell’ex centrocampista del Barcellona sembrano far tornare alla mente dei tifosi romanisti un altro tecnico amatissimo e rimasto sempre nei loro cuori: il boemo Zdenek Zeman. Anche il momento storico in cui i due tecnici sono giunti a Trigoria risulta essere piuttosto simile. Il tecnico boemo arrivò alla Roma nell’estate del ’97, direttamente dall’altra sponda del Tevere. Nonostante ciò, sia per il calcio offerto dalla sua squadra in campo che per il suo atteggiamento così fuori dagli schemi e contrapposto ai poteri forti del calcio, entrò subito in sintonia con l’ambiene romanista. Zeman, proprio come Lucho oggi, si trovò a dover fare i conti con una Roma tutta da ricostruire, dopo un’annata che definire da buttare è un eufemismo. Quella precedente, infatti, fu la stagione del mago pampero Carlos Bianchi, arrivato dal Velez Sarsfield in pompa magna, esonerato prima del termine del campionato, terminato con la coppia Liedholm-Sella in panchina. L’esigenza principale del presidente Sensi era quella di riportare la gente allo stadio, di riavvicinare la Roma ai suoi tifosi e, per fare questo, era necessario un gioco spettacolare, esattamente quello proposto dal boemo.

Zeman conquistò tutti con il suo 4-3-3, la tattica del fuorigioco portata addirittura all’esasperazione e una squadra che, nei due anni della sua gestione, risultò avere uno degli attacchi più prolifici della Serie A. I risultati furono sotto gli occhi di tutti. Nella stagione ’97-’98 la Roma terminò quarta, in quella successiva quinta, e non era certo il team che poteva annoverare campioni del calibro di Samuel, Emerson, Batistuta e Montella. La Roma di Zeman si ricorda soprattutto per le scommesse Bartelt, Alenichev, Frau, Dal Moro, Servidei, Tetradze, e potremmo continuare ancora; una squadra che, dunque, puntava forte sul gioco piuttosto che sui giocatori.

Da quest’ultimo assunto parte anche Luis Enrique. Sin dall’inizio Lucho ha fatto chiaramente intendere che tutti sono utili ma nessuno è indispensabile, vedasi i casi Vucinic e Menez. Lo schieramento adottato dallo spagnolo è lo stesso su cui Zeman ha basato la sua carriera di tecnico, seppur con alcune, piccole, varianti tattiche. Il boemo infatti prediligeva, e predilige ancora oggi con il suo Pescara, un gioco rapido, con frequenti verticalizzazioni a tagliare il campo, mentre lo spagnolo è fautore della scuola "guardioliana", un possesso palla continuo, quasi asfissiante, in cui il lancio lungo non è contemplato, per poter arrivare alla porta avversaria. Come per Zeman, anche per Luis Enrique il momento dell’arrivo a Roma non è stato dei più facili.

L’asturiano si trova, infatti, a dover ripartire dopo una stagione disastrosa, viste le premesse che l’avevano accompagnata, con il cambio in corsa Ranieri-Montella che poco o nulla ha cambiato quanto a risultati, e a dover fare i conti con molti elementi della squadra ormai logori, tanto da un punto di vista fisico che motivazionale. Il tormentone dell’estate giallorossa è trabajo y sudor, preso in prestito direttamente dalla lingua madre del tecnico romanista, e che sembra essere il concetto che, più di tutti, accomuna questi due personaggi. I risultati arrivano solo se si mette in campo tutto quello che si ha, solo con lo sforzo fisico e un’identità di gioco ben precisa, che prescinda da uno o l’altro interprete: questo il credo di Lucho. “Se io non c’ho palla non posso fare gol, se la palla ce l’ho io non posso subirlo”. Sembrano essere le parole di Luis Enrique al termine di una delle amichevoli giocate in questo periodo dalla Roma, invece sono uscite dalla bocca di mister Zeman durante una delle interviste rilasciate nella sua lunga carriera. Non ci resta che aspettare, e sperare che la Roma trabajo y sudor assomigli a quella avvolta nel fumo delle sigarette zemaniane.