(di Alessio Nardo) Dai un'occhiata alla sua bacheca e qualche brivido ti viene. Perché vincere una coppa del mondo non capita esattamente tutti i giorni, e aver disputato sette partite su sette di quel mondiale (sempre da titolare) significa esser stato in prima linea. Non una comparsa, ma un protagonista.
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Lo stile di Simone
(di Alessio Nardo) Dai un’occhiata alla sua bacheca e qualche brivido ti viene.
Eppure, Simone Perrotta, di quel trionfo non ne ha mai fatto un vanto personale. Quasi si nascose all'epoca, nel 2006, tra i festeggiamenti generali. Umile nel sacrificarsi in campo, quanto fuori. Lasciando spazio agli altri, godendosi intimamente il trionfo senza utilizzarlo come arma di presunzione. Il centrocampista calabrese (ma nato ad Ashton, in Inghilterra) ha vissuto i migliori anni della carriera con Spalletti allenatore. Fu il mister di Certaldo, nel 2005, a trovargli, un po' per intuito, un po' per fortuna, la collocazione tattica ideale nel ruolo di trequartista incursore. Alle spalle di Totti. Nel 4-2-3-1. Alchimie magiche che resero magica quella Roma. Bella da vedere, concreta, forte, vincente. Tre coppe, uno scudetto sfiorato nel 2008 e due volte di fila tra le prime otto d'Europa. Anni splendidi, anni d'oro anche per Simone, che il mondiale con Lippi non lo vinse certo da trequartista, ma da esterno (di fatica) del centrocampo. Emblema di tre doti fondamentali: duttilità, umiltà e voglia di mettersi sempre a disposizione di mister e compagni.
Son trascorsi anni, son cambiate molte cose. La nazionale, dal 2009, è un ricordo. La Roma, da Spalletti in poi, ha vissuto rivoluzioni e controrivoluzioni. Ranieri, Montella, Luis Enrique, Zeman. E gli americani, nuovi proprietari. Con Baldini e Sabatini a rappresentare il nuovo corso dirigenziale. L'era dei giovani e del futuro. Il gruppo storico è stato quasi del tutto smembrato. Gli unici veri senatori rimasti sono Totti, il più vecchio e (sempre) il più grande; De Rossi, ormai un caso su due piedi più che un leader; Taddei e Perrotta. Curioso il destino degli ultimi due. Gli onnipresenti. Pilastri fondamentali del quadriennio 2005-2009, oggi (rispettivamente a 32 e 35 anni), eterne riserve pressoché inutilizzate. Se il brasiliano è ritenuto dal boemo l'alternativa principale a Piris per il ruolo di terzino destro, Perrotta è stato a lungo considerato un intralcio. Trascurato, escluso brutalmente dalla tournée estiva negli States e dal ritiro di Irdning. In due parole, fuori rosa. Con il solito impeccabile impegno, Super Simo ha continuato a fare il suo lavoro. In silenzio, senza polemiche, pur consapevole di non far parte del progetto. E riuscendo, settimana dopo settimana, a riconquistare un minimo di fiducia da parte di Zeman. Come un ragazzino alle prime armi.
Il suo contratto è frutto di vecchi accordi con la passata gestione. Forse Simone ha pagato proprio questo. L'esser legato visceralmente ad un periodo che, per motivi non del tutto limpidi, il nuovo corso ha voluto spazzar via. In fretta e furia. Senza tener conto di alcune cose. In primis, del rispetto dovuto a determinati uomini, ancor prima che calciatori. Simone Perrotta, della Roma, è stato leader e colonna portante. Veste il giallorosso da quasi un decennio, dal 2004 non è mai venuto meno all'impegno più gravoso: onorare la maglia. Ed è ciò che ha fatto anche ieri a Pescara, nei pochi minuti che Zeman gli ha concesso. Ci ha fatto piacere rivederlo in campo. Ci conforta sapere che è ancora parte del gruppo. Quelli come lui non sono mai di troppo.
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