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L’italiano Pallotta

(blog.guerinsportivo.it – Stefano Olivari) Qualcosa non funziona nella Roma. Non ci riferiamo al

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(blog.guerinsportivo.it - Stefano Olivari)Qualcosa non funziona nella Roma. Non ci riferiamo al campo, dove anche dopo il passo falso contro il Cagliari il campionato della squadra di Garcia può essere definito esaltante (e quando tornerà Totti…), ma a quanto sta accadendo in società. E’ cosa nota che il presidente James Pallotta non abbia gradito le trattative fra Unicredit e il miliardario cinese Chen Feng (lui sì esistente, al contrario del famoso sceicco portato da Pallotta, quello con il figlio carabiniere) per la cessione delle quote di proprietà della banca. Bisogna ricordare che non stiamo parlando di azioni della Roma, quelle che chiunque di noi può comprare in Borsa, ma delle quote della società che possiede il 78% della Roma, cioè la NEEP Roma Holding. Di questa NEEP gli ‘americani’ attraverso la AS Roma SPV, possiedono il 60%, Unicredit il 31 e un’altra società chiamata Raptor (facente capo a Pallotta) il 9% (che Unicredit ha ceduto, appunto alla Raptor, in agosto). E quindi dove sta il problema? Ce ne sono diversi, finora mascherati dalle ottime operazioni di mercato (ma non sempre si troveranno polli disposti a strapagare Marquinhos Lamela) condotte da Walter Sabatini. Il primo è che il dichiarato obbiettivo finale di Pallotta è quello di mettere le mani su tutta la società, che ha potenzialità di marketing internazionale finora quasi inesplorate. Un socio di minoranza come il cinese sarebbe di sicuro meno malleabile di Unicredit, sicuramente per convincerlo a togliersi di torno (un domani) bisognerà stra-ripagarlo dell’investimento (eventualmente) fatto. Il secondo problema è che Unicredit è il socio di minoranza ideale.

Essendo al tempo stesso azionista e creditore della Roma, non è mai nelle condizioni per fare la voce grossa: come si fa a pretendere da sé stessi il rientro da una posizione debitoria? Senza contare che il presidente della Lega Maurizio Beretta è di Unicredit un alto dirigente, nel disinteresse di chi vede conflitti di interesse ovunque. Il terzo problema è che tutto è in fase di transizione, non solo dal punto di vista sportivo. Il nuovo stadio, che secondo la moda imperante sarà più piccolo dell’Olimpico (ieri semivuoto, con una Roma da scudetto) e le sicure speculazioni immobiliari annesse faranno tutta la differenza del mondo, in ottica finanziaria, ma adesso è troppo presto per decidere e Pallotta vuole stare a metà del guado. L’ipotetica assegnazione a Roma dei Giochi Olimpici del 2024 (possibile, ma non certo probabile) potrebbe far volare il valore della società e renderla appetibile per operazioni che in questo momento nemmeno immaginiamo. E quindi? Un’altra grande squadra italiana dalla proprietà incerta e dal futuro ancora più incerto. L’era di chi gestiva consapevolmente in perdita è finita, ma questa è migliore solo da un punto di vista formale. E Pallotta ha dimostrato di essersi perfettamente adattato al modo italiano di fare business, cioè usando una banca che non ti può dire di no.