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Le brutte bandiere. Roma-Lecce vista da Kansas City

Va bene er progetto, va bene l’idea, va bene la revoluciòn e il chiticaca. Va molto bene che se ritorni a giocà pe ssa maja ssorica accannando l’inutile orda de nazionali che s’è portata via lacrime, sangue e legamenti der...

Redazione

Va bene er progetto, va bene l'idea, va bene la revoluciòn e il chiticaca. Va molto bene che se ritorni a giocà pe ssa maja ssorica accannando l'inutile orda de nazionali che s'è portata via lacrime, sangue e legamenti der cannibale più fidato. Va benino che arivi er Lecce cor suo bastimento de groppi in gola e de ex recenti, passati e futuri.

Va benissimo, ai limiti della commozione, che lo speaker ufficializzi a mezzo megafono de esse un piacitore de ste pagine ar punto da raccoje l'appello qui lanciato e ordinà agli astanti inumiditi che lo stormo de consonanti se lo sarebbe accollato lui pe lasciacce liberi de urlà er letale nome der putto cantero. Davero, va bene tutto. Ma ieri ce stavano le elezioni ar paese tuo, Luigi. Dar motivatore pagato pe batte le mani fino ar primo voto possibile de José Angel da Twitter, e che se fa così a revoluciòn culturale? Armeno na delegazione ai seggi a potevate mannà.

E' questo l'esempio da dare? E' pur vero che raramente l'esito de na competizione elettorale è stato meno incerto de quello de na partita de calcio, e che quello spagnolo era appunto er caso in questione, ma pensa che scena vedette partì pe l'Asturie all'alba pe annà a votà e tornà in tempo in tempo pe mannà Ercapitano in panca.

E però Luigi Enrico è fatto così, anarchico nell'anima, plagiatore de menti e ideologie, franchista democratico, progressista e rauco che porta l'elettorato più lunatico e impaziente der monno a fa no striscione co scritto "mai schiavi del risultato", roba mai vista, che pare satira e invece è tifo. E pe la prima vorta da che Olimpico esiste, i mugugni degli adepti ner vedé Ercapitano ammucchiato in panca sotto strati de Patagonia, non so de indignazione ma de apertura mentale ad un possibile, proficuo, collaborativo e rispettoso ricambio generazionale da portà a modello, pe modi e tempi, a qualsiasi convegno de partito o de corrente. Detto ciò, sta partita nse po sbajà. Se lo dimo noi, se lo dice Luigi Enrico, se lo dice soprattutto Ta

ddei, terzino sinistro pe sbajo, che nello sbajo ce sguazza affondando aureli e imperiali finte varie sulle diroccate vestigia de Oddo, vetusto dirimpettaio de giornata. Dopo mezz'ora de gioco er possesso palla pe noi s'aggira intorno ar 98%, col rimanente 2% da divide equamente tra i secondi in cui la palla sta per aria e quelli in cui viaggia tra i non cuadradi piedi de Cuadrado che, approfittando der fatto che Taddei stia approfittando de Oddo, prova ad approfittasse der Cannibale orfano, der quale cerca de approfittasse er redivivo Chiaiar, come lo chiama buona parte di pubblico, invecchiato di dieci anni per i postumi der carpiato der gommista.

E la gara d’approfitto esce dall’impasse quando er Willem Dafoe nuovo protagonista della fascia sinistra, al termine de na serie de 19 passaggi, praticamente un tributo all’autostop, imboccato da un De Rossi che manco mamma cor cucchiaino, sguscia mellifluo e dinoccolato e si erge grissino a fendere il tonno salentino, mettendo in mezzo na palla che Bruno Pizzul c’avrebbe scritto sopra “basta spingere”. Er fio der cantante dei Green Day l’italiano ancora non lo sa, ma quelle du parole le capisce bene, motivo per cui spigne e basta, e tanto basta a facce strillà. Unazzero e pallarcentro. Manco er tempo de mettela lì, che subito se ritrasferisce in pianta più o meno stabile nella trequarti loro, co na ragnatela che sembra avecce meno ragnatele der solito, anche grazie a un ragnetto argentino lungo e snello che per lo più s’addorme, ma quando se sveja è tutto un uhhh ohhh, anvedi che ha fatto, ma nu lo potrebbe fa più spesso invece de riaddormisse? “Se, mo Taddei sì e io no? ma che davero davero?”, pensa er piccolo Erichetto dopo avé saputo dai compagni i dettagli der gò. Detto, fatto, e paro paro come a Rodrigo, ma co no spunto in più finalizzato agli uuuhhhh e agli ooohhh che siccome semo stronzi non avevamo rivolto così sospiranti ar poro Rodrigo, mette in mezzo na palla facile facile, sulla quale famelico s’avventa l’angioletto co n’ala blau e l’altra grana.

Ma per l’appunto, er putto è famelico, e in barba, basette e pizzetto a ogni legge della fisica, della morale e della teologia, ce va de un mezzo esternotaccolacciolinguettadescarpino, che riesce nella difficile impresa de fasse passà attraverso dar balòn e de ingoiasse er gò fatto. Pe radio, a fine gara, opinionisti dell’urbe opinioneranno dicendo che quer gò magnato de lo sarebbero aspettato, che so, da Osvardo, mai da Bojan. E però proprio quer gesto mancato rende improvvisa giustizia e merito all’ormai celebre batimuro de Roma-Siena, che all’epeca pareva facile, ma dopo Bojan diventa acrobazia. E tra na gomitata, un carcio e un pestone de Olivera, dopo nuscita a valanga de Julio Sergio e della sua acconciatura afro a rimorchio, dopo la dipartita de Carozzieri che se fa male ma co du martellate torna novo e nun c’è bisogno de mette in mezzo le assicurazioni, dopo nantro allungo de Usain Cuadrado che però sfuma, se va a riposo, co un discreto senso de soddisfazione e sazietà. Ma c’è Bojan che purtroppo ha sartato colazione, pranzo e merenda, e che nell’intervallo elemosina un tramezzino, un cracker, na caramella! ma niente, non ce sta nanima pia, manco un prete per chiacchierar, e rientra in campo co un solo obiettivo nella vita: magnà. Come pizzicati da tarantole, i giallorossi giusti decidono che la pizzica, rompemo sto tabù, ha rotto er cazzo, è ora de smorzalla. Ragion per cui se solo se fossero concretizzate la metà dele occasioni create, ar quarto d’ora der secondo tempo saremmo in vantaggio de 4 o 5 gò. Bojan se magna altri du gò fatti, i paragoni co Vucinic se sprecano, ma er putto è paradossarmente più paraculo, se li magna de cattiveria e no de indolenza, e quando se li magna smadonna davero, ragion per cui quando esce pia pure du applausi. Lamela invece se li magna de dolceegabbanismo spinto, alla ricerca der gò da europride, e con l’eleganza de na drag queen ariva a tu per tu cor poro Julio, lo mette a sede ma spiattella fori, a depilare la base der palo. Osvardo, armeno, è l’unico che, solo davanti ar portiere, pia er portiere. Insomma, è destino che in mezzo a sto trionfo de barocchi ghirigori da stil novo poco dolce, er gò non debba esse bellissimo, ma tutt’ar più bellino, caruccetto, mezzo sculato. Un tiro da fori area, roba da Istituto Luce, scajato pe sfinimento dar sordato Gago, rimbarza senza pretese guardando negli occhi er poro Julio Sergio. L’ex da vero ex finarmente se comporta, e tuffandose come avrebbe fatto er miglior terzo portiere der monno, ce regala nuova gioia dopo quelle dei tempi andati. Ma solo la Roma può vantare il caso de ex che viene dal futuro.

Tal Bertolacci, uno dei milioni de romanisti stracciacazzi che so usciti dar GRA pe tornà un giorno a rompe le palle a noi, proprio mentre i nostri giovini fanno la conta su chi e come e quando debba fa er terzo gò, s’entrufola gajoffo tra rimpalli sempre uguali, trasformando in facile chilombella gò na palla co la quale Bojan avrebbe spaccato mpar de telecamere. A quer punto, storditi dall’imprevisto, non riuscimo manco a capì perché sto rigazzo traditore faccia segno de non vole esurtà, de esurtà mezzo mezzo, dicendo no no scusate null’ho fatto apposta, cioè, me trovavo lì, ho tirato, ho segnato, era troppo facile da fa, nun potevo sbajà. Eh, viello a dì a noi sa.

E comunque se sei romanista a prossima contro de noi, fai er piacere, viettela a vedé co noi, seduto, così vedi che vor dì sta come c’hai fatto sta te fino ala fine. Perchè, per quanto se continui ad attaccà e a produrre fraseggio che manco un team de sceneggiatori, dopo la marcatura iscariota er fantasma de Vitiello aleggia minaccioso sulle teste nostre, e a quanto pare anche davanti a quella del signor Carrer che, forse annebbiato dal passaggio dell’ectoplasma proprio in quel momento, ingannato da quel te vedo non te vedo proprio degli spiritelli, fra vedo e non te vedo sceglie la terza via, vede quello che non c’è: er forigioco de Osvardo.

E così le stampanti della Panini già all’opera pe ristampà le buste de figurine se bloccano, er regista de Fuga per la vittoria co le telecamere già puntate pe il remake smonta er set, la mitraja già caricata a pallettoni se inceppa e l’urlo de gioia de na curva, na città e un monnoinfame intero se spengono dentro a na majetta tirata sulla faccia pe coprì labiali che c’hanno come basa d’asta il coinvolgimento de madri, sorelle, antenati, cittadina de provenienza, appartenenza a organizzazioni, club o associazionismo vario

La bandierina resta lì, immobile, a garrire di un vento che soffia ingiustizia e cattiveria, a negare la bellezza, a sfregiare il capolavoro, a schiacciare l’ultimo frutto sano de un carcio marcio.“Ma un gò così bello, a Roma, l’amo visto mai?”, ce se chiede all’uscita. No, probabilmente no. Raccontare agli eredi l’atto di vandalismo compiuto non sarà semplice, ci vorrà tatto, sicuramente Youtube.

La rigidità delle regole, l’ottusità degli aridi, la miopia dei conservatori, la prepotenza del potere, l’abuso di grigiore, la professionalità di un killer, nella decisione di una vita passata a correre di lato, a guardar le linee, a verificarne la rettitudine, a sventolar senza emozioni, rimanendo vittima dell’imprevedibilità di un gesto nuovo e vecchio, bello e facile, da spiaggia e da film. Un gesto da Osvaldo, quarsiasi cosa voja dì.

 

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