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L'arrivo, il flop e l'addio: gli 11 mesi di Luis Enrique alla Roma

(di Alessio Nardo) Troppo forte il desiderio di mettere un punto. Basta, capitolo chiuso. Luis Enrique Martinez Garcia, 42 anni da Gijon, guiderà la Roma domenica sera a Cesena, poi il divorzio sarà effettivo.

Redazione

(di Alessio Nardo) Troppo forte il desiderio di mettere un punto. Basta, capitolo chiuso. Luis Enrique Martinez Garcia, 42 anni da Gijon, guiderà la Roma domenica sera a Cesena, poi il divorzio sarà effettivo.

Volge al termine una storia difficile, complicata. Come tante qui a Roma. Ma questa, in teoria, avrebbe dovuto rappresentare l'avvio di un percorso lungo e vincente. Invece no. Il "progetto" Luis s'interrompe agli albori, lasciando alle nostre memorie un'annata disastrosa in termini di risultati, e alla società un disegno da rimodellare. Con pazienza e fatica.

Il tempo passa e divora tutto. Ambizioni, voglie, speranze. Luis Enrique sbarcò a Roma in un caldo giorno di giugno del 2011. Lui, la terza scelta, la soluzione a sorpresa di Baldini dopo il "no" incassato da Guardiola prima e Villas Boas poi. Una "fenomenata", chiamiamola così. Ma a volte, l'atto di coraggio può tradursi in intuizione geniale. Bisogna avere la forza di provare. E Baldini, al quale di certo il coraggio non è mai mancato, volle provarci. Prese, impacchettò e spedì Luis nella Capitale, dopo tre stagioni nel Barcellona B. Triplo salto mortale: dalla B alla A, dalla Spagna all'Italia. Un bel rischio, certamente calcolato. L'immagine di un Luis Enrique raggiante e in perfetta forma a Trigoria, durante la prima perlustrazione dei campi d'allenamento (10 giugno), stona con le più recenti istantanee del conducator asturiano. Stanco e sfinito. La prima intervista a Roma Channel, rigorosamente rilasciata in spagnolo, ci consegnò il volto ambizioso di un allenatore pronto a mettersi in gioco. E a dare spettacolo.

Torniamo indietro, a quei giorni. L'estate è lunga e, nel caso della Roma, tempestosa. In città si parla solo del closing Unicredit-americani, quasi viene lasciato in disparte l'argomento "squadra", che a luglio parte per il ritiro estivo. Luis diventa in breve tempo il Re di Riscone. Conquista i tifosi, gioca con loro a biliardino, canta a squarciagola l'inno giallorosso. Sul campo, inizialmente ha a che fare con gente che non farà parte del suo progetto: Julio Sergio, Antei, Crescenzi, Bertolacci, Brighi, Ménez, Vucinic, sino a Borriello e Pizarro. La rosa viene "aggiustata" (con lentezza) da un Walter Sabatini costretto a lavorar da solo (Baldini, dopo aver scelto il tecnico, se ne vola oltremanica per assolvere gli impegni contrattuali con la nazionale inglese) e a gestire, anche mediaticamente, la faticosa situazione di passaggio tra la banca e il consorzio statunitense. José Angel è il primo ad arrivare, poi Bojan, Stekelenburg, Heinze. Luis ha un appuntamento cruciale da preparare, il preliminare d'Europa League con lo Slovan Bratislava. Prima tappa, il 18 agosto (giorno dell'ufficialità del closing), in Slovacchia. Ecco le prime sorprese: fuori Totti e Borriello dal 1', dentro Okaka e Simplicio, esclusi dalla lista dei convocati per il ritiro. La Roma gioca male, non ingrana. E' lenta e spaesata. E perde 1-0. No problem, siamo all'inizio. C'è una compagna acquisti da completare, e tra le mura amiche il punteggio è assolutamente ribaltabile. In teoria.

Il 25 agosto la nuova Roma viene accolta all'Olimpico un'ondata di affetto e passione. La voglia di vedere all'opera la squadra è tanta, dopo tre mesi d'attesa. E' una sorta di vernissage (presentato anche il neoacquisto Osvaldo), ma occorre vincere per accedere ai gironi europei. L'avversario? Non fa paura. C'è Totti in attacco, con Bojan e Caprari. Viviani, Perrotta e Simplicio agiscono in mezzo, dietro Cicinho (che lascia il posto per infortunio a Rosi dopo 7'), Cassetti, Burdisso e José Angel. In porta Stekelenburg. Trascorre una manciata di minuti e Perrotta sblocca il risultato, incendiando gli spalti gremiti. La Roma va all'attacco, convince, crea tanto. Il 2-0 non arriva. Il minuto chiave è il 74', quell'attimo che segna la prima vera crepa nel rapporto tra Luis e i tifosi. Esce Totti, entra Okaka. Lo stadio fischia, ma non ha ancora visto tutto. All'82' lo Slovan pareggia tra l'incredulità generale, la Roma è fuori dall'Europa ad agosto. Dalla tribuna alle curve un solo grido: "Buffone! Buffone". Un unico obiettivo, chiarissimo: Luis Enrique.

E' già aria di sommossa, ma il mercato effervescente degli ultimi giorni d'agosto rilancia (in parte) l'entusiasmo del pubblico. Arrivano Pjanic, Gago, Borini e Kjaer, la squadra è (sembra) completa per poter lottare ad alti livelli. L'11 settembre si (ri)parte, all'Olimpico c'è il Cagliari. Lo stadio è pieno, ma la squadra non va. Non c'è intesa tra i nuovi, lo sviluppo del gioco è lento e farraginoso, si fatica a tirare in porta. Finisce 1-2 (col solito gol di Daniele Conti), la Sud a fine gara applaude. Segnale inequivocabile della fiducia riposta nel progetto tecnico. A San Siro si pareggia (0-0 con l'Inter), poi il Siena fa 1-1 all'Olimpico con Vitiello all'87'. Serpeggia un po' di malumore, ma la Roma finalmente vince. A Parma decide una zuccata di Osvaldo, con l'Atalanta ecco i primi timidi cenni di "futbol barcelonistico". Convincente 3-1 casalingo, sprazzi di calcio d'alto livello. Quindici giorni prima del derby. E lì, è batosta. Klose al 93' stronca il dominio giallorosso nelle stracittadine ed inaugura un periodo di clamorosi alti e bassi. Il gioiello di Lamela (all'esordio) piega il Palermo, non basta. Genoa e Milan abbattono la Roma, Novara e Lecce la rialzano. E' un'altalena di risultati, con pochi pareggi. A Udine si perde 2-0, a Firenze ecco la prima imbarcata dell'anno. I viola di Delio Rossi trionfano per 3-0, espulsi Juan, Bojan e Gago (si chiude in otto, mai accaduto nella storia giallorossa). La tensione è alta al rientro della squadra alla stazione Termini. Si vocifera di possibili dimissioni del tecnico, ma non è così. Luis va avanti e i fatti del successivo bimestre gli daranno ragione.

Roma-Juve del 12 dicembre? Paragonabile alla trasferta di Genova con la Samp del primo anno spallettiano. Squadra in gran parte rabberciata (con De Rossi centrale difensivo e Viviani regista di centrocampo), tanto orgoglio e cuore. Il risultato è 1-1, bicchiere mezzo pieno. Napoli e Bologna, prima di Natale, sono due pietanze da gustare divinamente. Al San Paolo si vince 3-1 giocando bene, al Dall'Ara è spettacolo allo stato puro. 2-0 in perfetto stile blaugrana: possesso palla, intensità, concretezza. Sembra l'inizio di una favola, del grande percorso romanista di Luis Enrique. Tra panettoni e pandori ci si prepara al 2012, convinti d'aver imboccato il viale del trionfo. Al via del nuovo anno è subito 2-0 al Chievo, poi 3-0 (con rivincita) alla Fiorentina in Coppa Italia, 1-1 a Catania (sfida sospesa per maltempo) e scoppiettante pokerissimo al Cesena di Arrigoni. Sì, sembra fatta. La Roma dà l'idea di esser diventata una grande squadra. Compatta, quadrata, piena di qualità e dotata del carattere necessario per vincere. Illusione.

Il 24 gennaio c'è  la Juve, di nuovo. Quarti di Coppa Italia, esordio assoluto in gare ufficiali della Roma allo Juventus Stadium. E' una disfatta. I ragazzi di Luis entrano in campo svagati, forse con un pizzico di presunzione, e incassano un 3-0 senza appelli. D'improvviso i tifosi tornano ad infuriarsi e la squadra esterna tutta la sua fragilità. Il mercato di gennaio? Inesistente. Luis non vuole rinforzi, accetta il solo Marquinho, chiede lo sfoltimento di un organico ampio. Sul campo si torna indietro, al bimestre ottobre-novembre: la parola d'ordine è discontinuità. Dall'1-1 interno col Bologna alla scoppola di Cagliari, dal 4-0 all'Inter alla sconfitta di Siena, dall'1-0 al Parma al fragoroso crollo di Bergamo (con la discussa esclusione di De Rossi per i 5' di ritardo alla riunione tecnica pre-partita). Il derby di ritorno è un altro disastro: vince la Lazio, ancora. Il doppio 1-0 con Palermo e Genoa riporta i giallorossi in zona Champions. Ma non è aria. A San Siro col Milan si perde quasi d'inerzia (2-1), il 5-2 al Novara è un atto dovuto, il 2-4 pasquale di Lecce è l'ennesima figura oscena del campionato. L'ultimo squillo di rilievo è il 3-1 interno all'Udinese. Forse il momento di massima goduria dell'intera stagione.

Neanche il tempo di illudersi ancora. Altri quattro schiaffi a Torino, poi il disastro definitivo. Il baratro. Roma-Fiorentina è l'ultima vera chance di restare agganciati al treno europeo. La Lazio perde a Novara nel match delle 12.30, c'è la possibilità di andare ad un soffio dai biancocelesti (terzi) a quattro giornate dal termine. Il primo tempo è qualcosa d'imbarazzante: i viola passano subito con Jovetic, il resto è zero. La Roma passeggia, trotterella, sembra impaurita. Personalità latitante, voglia di vincere assente. Il pari casuale di Totti a metà ripresa non incide sul risultato finale. E' Lazzari al 92' a decretare la definitiva spaccatura tra ambiente, squadra e Luis Enrique Il tecnico, dal "rimarrò 5-10 anni" esternato in sala stampa alcune settimane prima, passa all'"oggi manca un giorno in meno al mio addio". Prende atto della situazione, vuol traghettare la squadra in Europa League e tornare a casa. Ma non gli riesce neanche l'ultima missione: i tre pareggi con Napoli, Chievo e Catania escludono i giallorossi dalle coppe europee della stagione 2012-2013 (Palazzi permettendo...).

La dirigenza è con lui, gli assicura il massimo appoggio ed una campagna acquisti all'altezza. I giocatori lo invitano a restare. La tifoseria, aldilà di qualche striscione di scherno, evita di massacrarlo ed anzi, in buona parte si schiera al suo fianco. Tutto ciò non basta. Giovedì 10 maggio, in un caldo pomeriggio di primavera, Luis Enrique saluta la squadra. Per sempre. Conscio di un fallimento amaro e grossolano, impaurito dalle prospettive, per nulla attratto dall'idea di rifarsi e smentire i detrattori. Luis saluta, la Roma continua. E auguriamoci, da qui ad un anno, di scrivere finalmente una grande storia. A lieto fine.