“Da tifoso ho grande nostalgia di mio padre prima, del presidente della Roma poi”, ha detto Ettore Viola, figlio dell'ex Presidente della Roma Dino Viola nel giorno del ventunesimo anniversario dalla scomparsa del padre.
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E.Viola:“Io sono stato fortunato. Non capita a tutti di essere figlio di un presidente e di una presidentessa della Roma”
“Da tifoso ho grande nostalgia di mio padre prima, del presidente della Roma poi”, ha detto Ettore Viola, figlio dell’ex Presidente della Roma Dino Viola nel giorno del ventunesimo anniversario dalla scomparsa del padre.
“Sono passati 21 anni dalla scomparsa di mio padre e del presidente della Roma – ha detto Ettore Viola a AsRoma24.com, - ho tanti ricordi legati alla figura di mio padre, ma soprattutto l’ammirazione per il lavoro che è riuscito a fare. La sua nomina il 16 maggio del 1979 è stato il coronamento di un sogno di un imprenditore venuto a Roma all’età di 11 anni che ha avuto una vita di successi in funzione della Roma. I suoi successi imprenditoriali sono stati fatti per diventare presidente della Roma. Lui ha fatto una lunga gavetta da vicepresidente prima alle spalle di Eevangelisti, poi di Marchini infine di Anzalone. Dopo aver fatto un percorso ha realizzato un sogno che poi è stato fatto di successi. Ha lasciato un segno indelebile nella storia della Roma”. “Io da tifoso ho grande nostalgia di mio padre prima – ha continuato - del presidente della Roma poi. Capite che in una famiglia come la mia si era quasi obbligati a tifare giallorosso sin dalla nascita”.
Sulla nuova proprietà giallorossa ha detto: “Non importa se si è italiani stranieri. Io mi ero abituato a vivere la società Roma in un’altra maniera. Per 11 anni mio papà è stato alla guida e non ha mai venduto la società, è semplicemente morto in soli 15 giorni. Il fatto che non ci sia un presidente dispiace. Mio padre gestiva la manutenzione dei campi e allo stesso tempo firmava il contratto di Falcao. Era un presidente a tutto campo. Ora vedo una Roma parcellizzata e questo mi crea sorpresa. Dino Viola è stato il primo a lanciare il discorso del merchandising, dello sponsor sulle maglie, dell’automazione via computer dei biglietti nel mondo del calcio. L’esagerata ricerca di immagine su Roma mi lascia perplesso. Solo una squadra vincente e piena di campioni, come lo è stata per diversi anni quella di mio padre può affermarsi come immagine nel mondo. Ora si è iniziato alla rovescia. Io credo sia più giusto agire come è stato già fatto in passato. La differenza?Lui con passione rubava in famiglia per portare i soldi alla Roma. Nel caso di mio padre le banche erano aggressive, ora ci sono le banche. Che hanno sentimento, cuore?” Questi i ricordi del padre Dino: “Sto scrivendo un libro che dovrà necessariamente essere completato entro giugno, ma ancora non ho il titolo definitivo. Sarà pieno di ricordi, di cose inedite come immagini fotografiche e certe verità che sappiamo solo noi di famiglia. Mi fa buffo sapere che c’è gente che scrive senza sapere. Metterà a fuoco tutta una serie di situazioni fino ad oggi poco chiare. Si parlerà di Berlusconi, del presidente Andreotti, di campagna acquisti e di giocatori non comprati. Nasce come ricordo dovuto nei confronti di mio padre e mia madre”. Sull'importante figura di sua madre ha aggiunto: “Io sono stato fortunato. Non capita a tutti di essere figlio di un presidente e di una presidentessa della Roma. Grazie a lei e con la compiacenza del sindaco Carraro ai tempi abbiamo avuto possibilità di seppellire mio padre al cimitero del Verano e ancora oggi è un piacere vedere tanti biglietti e fiori sulla sua tomba”. “I miei ricordi? - ha aggiunto - Ne potrei citare 3000. Era ingegnere meccanico e collaudatore di aerei nel periodo bellico. Un giorno cadde proprio da un aereo con il figlio di Mussolini, prese una bella botta, per fortuna senza gravi conseguenze. Da quel giorno è diventato diffidente nei confronti degli aeroplani. Lui in trasferta andava in automobile anche se doveva arrivare a Udine o Catanzaro. Partiva il venerdì con mia mamma, io venivo con la squadra e al ritorno guidavo l’ammiraglia. Avevamo un esercito di macchine che ci seguivano. Dino Viola aveva piacere a fermarsi per mangiare qualcosa. Ogni tanto mi divertivo a fingere di uscire dall’autostrada e chi era dietro quando giravo di colpo mi diceva di tutto. Stare a cena dopo una sconfitta, una vittoria o un pareggio con il presidente era il massimo. Sentire le sue impressioni a caldo era un piacere”.
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