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De Bello Orobico: Roma-Atalanta vista da Kansas City 1927

Appropinquandose ao ssadio er tifoso romanista sfoja petali de rosa e pensa “io farei giocà questo, questo e quest’altro pe questo, questo e quest’altro motivo”, ma siccome er progetto prevede imprevedibilità da corida, er medesimo...

Redazione

Appropinquandose ao ssadio er tifoso romanista sfoja petali de rosa e pensa “io farei giocà questo, questo e quest’altro pe questo, questo e quest’altro motivo”, ma siccome er progetto prevede imprevedibilità da corida, er medesimo tifoso se rassegna a esse tifoso, que sera, sera, whatever will be, will be, er cielito è lindo, e i cocci eventuali saranno i sua de Luigi Enrico.

E se ormai a legge er Cipolla titolare nessuno dice più “che cazzo fai” ma ce se limita a un collettivo “oh, finchè segna...”, er nome de Bojan un po’ spiazza.

 

Er pischello cantero che der codice fiscale ha fatto bandiera e cognome, fino a mo non ha convinto granché, ma essendo che noi amo concesso prove d’appello a chiunque, da Mido a Okaka, da Ugolotti a Dhalin, da Musiello a Nonda, se potemo permette de esse aridi e presciolosi proprio co sto rigazzino che Guardiola ci ha dato in affidamento? No, nun se potemo. “E poi lui i vede in allenamento, o saprà”, sussurrano i più plagiati divenuti saggi e aziendalisti a botte de resoconti stenografati delle conferenze de Luigi. “Eh ma noi poi i vedemo in partita”, rispondono i più cacadubbi.

Ma se su Bojan i primi smorzano con poco gli sfaciolamenti dei secondi, la rivalsa cacadubbia è totale sul nome di Simplicio, detto dai più Arnold e dai meno, cioè noi e pochi intimi visionari, Bruciatello, Sarciccia de fegato, Supplìcio ma soprattutto La Bambola Assassina. A dispetto di un curriculum vitae Romae che in un solo anno de militanza ha collezionato palmares e trofei personali che avrebbero fatto di chiunque altro un mito da poster per i posteri, Fabio Simplicio, co sta maja, po fa quello che je pare, ma non sarà mai abbastanza pe guadagnasse un soriso riconoscente quando scenne in campo.

Certe vorte semo popo stronzi.

Quanno er match comincia cominciano pure le fasi de studio, che se già de loro normalmente so noiose, cor chiticaca rischiano de diventà nesame de storia dei trattati internazionali. E però quest’oggi c’è something in the air che nse capisce, na specie de borbottio contronatura che rende rivoluzionario contradir el dogma de la revoluciòn, ragion per cui la bilancia dela posesiòn resta in bilico, senza necessariamente pende dala parte nostra pe ragion social, anzi. La Talanta gira el balòn proprio come se er progetto fosse in Creative Commons, co la differenza che ar posto de Rosi ce sta Schelotto che core na cifra, e davanti a Schelotto ce sta Jose Angel da Twitter, che per tutta la partita confermerà il presentimento degli ultimi match: invece de fa diventà Rosi come lui nelle prime du partite, sta a diventà lui come Rosi in tutta la carriera tranne le ultime du partite.

Ma sta licenza creativa smette de fa paura quanno se concretizza, essendo licenza, nello strappo al dogma der passaggetto stronzo, e parte, essendo creativa, dai piedi der 16 na paraboletta che dopo venti minuti sguardo a terra ci fa uscir a riveder le stelle, naso all’insù e collo anchilosato a mirar che po succede de tanto apocalittico a fa un lancio come se deve. Ma l’Apocalisse non fa paura quando a raccoglie la lieta palombella c’è l’Arcangelo Krkic, co quella faccetta da putto e quei piedini che nel giro de tre secondi ce rivelano tutto ciò che c’avevano negato in tre mesi.

O stop, a difesa de la palla, er tiro: un bignami de fondamentali der calcio, scritto da un bignami d’omo. E chiunque abbia fatto tutt’altro pe tre mesi prima dell’esame sa che niente te salva er culo come er bignami quando stai ar momento dela verità, ala prova der nove, ar dentro o fori. Ed è dentro che se insacca sto pallone, corpevole fino a nattimo prima de avè staccato la propria massa dar suolo, ma assolto nattimo dopo da na giuria in festa sugli spalti perchè il fatto non sussiste, e se sussiste non è grave, ma pure se sussistesse sticazzi, amo segnato: ed è subito fomento. O ssadio risponde senza esitazioni alo speaker, liberando nell’aria no stormo de consonanti che solo grazie al naturale effetto delay de 40mila persone che dicono la stessa cosa compone la parola giusta. Io ce metto na k, tu na r, quello c’affianca un rkickc e alla fine, miracolo dell’acustica de merda, pure er putto l’avemo sistemato.

Finalmente se vede quello che dovrebbe esse sta Roma, co la palla che gira e la gente che core, co la costante immutevole nei tempi der Capitano che inventa, e co la variabile inedita nei campi der 16 che guarda palla e portiere, portiere e palla e invece de ipnotizzà er portiere ipnotizza se stesso e liscia, che un taglio de esterno così bello, a mettece sopra nantra cosa era troppo, e allora va bene pure svirgolà, pe na vorta. Ma virgole a parte, i punti so fermi, e le parentesi de Talanta so apostrofi brutti tra le parole “Famone” e “Nantro”: l’occasione ariva dala bandierina.

Il calcio d'angolo sembra l'ennesimo episodio della fortunata saga "ma perchè noi non segnamo mai su calcio d'angolo", cor pallone respinto fuori area già in procinto de accende er più stronzo dei contropiede. Ma qualcosa è cambiato, e quando le cose cambiano succede che a ributtà er pallone nella mischia sia Rosi, e che la nuova provvidenziale capocciata de Rosi diventi assist, e che l'attaccante a cui ariva er balòn sia già rientrato dar forigioco e rechi l'archetipo der soffritto sulla capoccia. Scoprimo così che dopo l’asse Conti-Pruzzo è a quello Rosi-Osvardo, che già fece piagne Parma, che affidamo scientificamente la finalizzazione der progetto.

E so forse gli allucinogeni fumi dela cipolla che, laddove qualsiasi attaccante a tu per tu cor portiere avrebbe scagliato na crina senza ritegno, suggeriscono all’Apollo crinuto de provà la scavarchella da fermo sur portiere valanga. Ciò che ne scaturisce è ncopricapo mezzo mezzo, più che un sombrero no zuccotto de lana de Carletto Mazzone, un cappelletto rovesciato tipo Jovanotti quando era cojone, naccrocco impajato da cerimonia de quelli daa Regina Elisabetta. Tuttavia, se Carletto Mazzone, Jovanotti e a Regina Elisabetta hanno fatto cariera un motivo ce sarà, e il motivo è lo stesso che fa sì che lo scavarchismo trionfi su Consigli ormai tardivi e inascoltati, lasciando Osvardo solo davanti a na curva, co in mezzo na porta da timbrà. E quando un omo co la cipolla incontra na porta vuota, quella vuota è na porta morta. E allora andiamo a insaccar e smitrajar su na curva piena, andiamo a piallo ad amorevoli pizze e a smontaje la cofana, e pe la prima vorta, namo a riposo co du gò de vantaggio, nebbrezza ormai dimenticata.

Ma quando vai a riposo ebbro, too devi aspettà che er detto popolare te tiri na secchiata d’acqua nfaccia. E così, se poco prima eravamo stati leoni, Denis ce ricorda che è nattimo a tornà cojoni, e lo fa arampicandose in testa ad un Heinze insolitamente sazio de porpacci, il quale, distratto dala ricerca der machete utile allo smembramento dela preda ritenuta moribonda, non riesce a evitanne er sussurto de vita e la letale inzuccata. Er fabbricante de saponette a sto giro non mura, e preparandose a na battuta ar sarto nun capisce perchè lartri esultino se la palla ha preso la rete. “Oh, ma è punto nostro” esclama stupito. Ma questo è carcio, la rete è punto loro, se le regole nule sai, salle.

Foschi presagi s’addensano gravidi di venefiche visioni a tratteggiare ombrose nebbie nei nostri cuori, è il terriccio che insozza foglie ormai cadute, è l’odore d’autunno che smorza il gioco dell’estate, è la puzza de merda de chi, pe l’ennesima volta, se sta a cacà sotto.

Anche perché Schelotto continua imperterito a fasse fa er book fotografico in movimento, che a lui de core, dribblà, crossà, soride, pettinasse e taggasse ar tempo stesso non jè mai riuscito bene come contro José Angel da Twitter. E siccome a Rosi non je pare vero de avé ricevuto in dote da Sabbatini uno più tonto de lui, l’Aleandro pia consapevolezza e scoatta de dribbling, scatti e appoggi e tiri in tribuna, fino all’apoteosi den sombrero ala Cafu fatto ai danni de nignoto co la vita irrimediabilmente spaccata a metà in ante sombrero Rosi (quando era felice) e post sombrero Rosi (da quando hanno cominciato tutti a ricordaje er giorno in cui Rosi ja fatto na riga in mezzo).

Succede così, tra na sgroppata orobica e nalleggerimento sur nostrano cavallo sbilenco, che er Capitano se massaggi na chiappa. Mille bandiere s’arestano, mille cori se mutano, mille bocche se tacciono, mille interpreti italiano-spagnolo rubano lo stipendio, tanto che er poro Stekelenburg in tribuna pe nattimo se pensa je sia partita pure l’artra recchia. E invece no, è la sacra chiappa der Capitano che nelo sforzo de non falle strigne a noi s’è stretta troppo, demoralizzando de riflesso le nostre ar pensiero de quel che sarà tra du settimane in campo e pe du settimane nele radio de tutto ermonnonfame, all’uopo pronte a ridiscuter se sia mejo un derby con o un derby senza er giocatore più forte der monno de cui sopra.

E’ a quer punto che l’asturiana scucchia, approfittando delo sbandamento generale, toje la punta sciancata e mette er centrocampista più possesivo de balòn che carcio contemporaneo ricordi. Pizarro l’Into Illinano saluta Er Capitano, poi saluta i compagni de reparto e je dice regà, la revoluciòn non può tener miedo de na compagine orobica capolista virtual. Ergo ite arriba, ite abajo, ite ndo ve pare, pero siempre con movimiento sexy y sensual, sentitevi liberi, mil cadenas habrá que romper, e solo asì asì asì asì, compagni, venceremos.

Cazzo è vero, dovemo vince, se po ancora vince, anzi, stamo già a vince, in casa per giunta, dove non è che perché noi semo noi deve sempre finì a remuntada altrui.

E quando er gioco se fa ciccio i ciccioli cominciano a giocà.

Lì, ner limbo der partido, Bruciatello pija palla, avanza sarciccioso, rotola gustoso, appoggia piano a Pjanic il quale, orfano der Capitano e scevro de pregiudizi, battezza Supplìcio come er più forte intorno a lui e con balistica cecchina je ricalibra er balòn affinché quello, sgusciato d’unto tra i finti magri artrui, beffardo e complicio, riscavarcheggi er portiere con tocco paffuto. E’ gò, è il ritorno dela Bambola Assassina nonché l’alibi che ce serviva pe smette la dieta, che l’estate finirà, ciccio è bello, e la panza sostanza simplicia che piace. A stomaco pieno e chiappa serena, rotoliamo verso fine match finalmente co un riso, nsoriso, na risata, un come ce viè da ride, e accogliamo er triplice con gioia duplice, quella della vittoria, e quella de avenne vinta una in casa. E prima de prenotà er Circo Massimo pe giugno è bene appunto ricordasse che amo vinto in casa co na neopromossa, ma na vorta smorzati gli entusiasmi der “de bello orobico”, se può tornà a cantà il refrèn che nantro po se scordavamo come fa.

“Finalmente ho sentito Grazie Roma all’Olimpico” dice Luigi Enrico con scucchia madida nel postpartita. E’ contento er pupo deportivo, je piace sta canzone che, c’avesse nantro testo, no spagnolo con un lavoro normale derubricherebbe a repertorio d’annata italiano, parentesi incolore tra Pupo e Toto Cutugno. Ma invece sta parentesi er colore ce l’ha eccome, anzi, ce n’ha due, che ce fanno sentì mportanti anche se nun contamo gnente. Che pare poco e invece è mucho.

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