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Civitarese (mental coach): “Definire i giocatori scarsi è inutile e fa male”

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L'esperto, intervistato da Forzaroma.info, ha spiegato anche il legame con i tifosi e i social network. "Rendere pubblici gli sfoghi amplifica l'errore di un giudizio negativo"

Redazione

Febbraio non è il mese della Roma. Con due pareggi in Serie A, contro Genoa e Sassuolo, e la sconfitta in Coppa Italia contro l’Inter, la squadra di José Mourinho, dopo la sosta, sembra essersi dimenticata come si vince.  Un gol annullato quasi allo scadere a Nicolò Zaniolo nella partita contro i rossoblù e una “strigliata” dello Special One negli spogliatoi di San Siro, aggravata dal fatto che “quelle” parole sono state rese di dominio pubblico, hanno fatto da contorno. “Possono dire che siamo scarsi, ma siamo un gruppo unito”, ha detto poi il portoghese ai microfoni di Dazn. Dichiarazioni che si aggiungono ad altre, più o meno dello stesso tenore - vi dice nulla la partita di Conference contro il Bodo/Glimt?

Ecco, non è così difficile credere che qualcosa, a livello mentale, si sia rotto. Mourinho ha fatto della comunicazione, della motivazione il suo marchio di fabbrica, una sorta di biglietto da visita che lo ha portato a vincere trofei su trofei. Un meccanismo che, però, sembra essersi inceppato qualche anno fa e che, alla Roma soprattutto, sembra stia dando i frutti contrari. Forzaroma.infoha intervistato Roberto Civitarese, mental coach dei calciatori professionisti e autore del libro “Gioco di testa. Allenare la mente per vincere nel calcio”.

Secondo lei, i calciatori di oggi sono più sensibili rispetto a quelli del passato, anche rispetto a una “strigliata” dell’allenatore? "Io credo che più che essere più sensibili, siano più suscettibili. È cambiato il mondo rispetto a vent’anni fa, l’avvento dei social network e quindi della comunicazione in generale, che è molto più veloce, rende le persone un po’ più sensibili rispetto all’opinione altrui e quindi anche più vulnerabili. Oggi, i giovani, subiscono di più il giudizio degli altri e questo, spesso e volentieri, diventa un fattore penalizzante".

Basti pensare alla situazione di Rick Karsdorp, che dopo l’errore contro il Sassuolo è stato sommerso dagli insulti, motivo per cui ha chiuso il suo profilo Instagram. Come mai da tifosi ci si sente legittimati a denigrare un giocatore per uno sbaglio? "Anche qui, secondo me, è cambiato il rapporto tra tifoso e giocatori, squadra. Anni fa, il tifoso era il tifoso e difendeva e sosteneva la squadra sempre, sia in caso di vittoria, sia in caso di sconfitta. Oggi è cambiato qualcosa anche a livello culturale, in generale: ciascuno si sente legittimato, autorizzato a insultare l’altro e lo fanno, purtroppo, anche i tifosi con i calciatori. Io insisto sempre sul fatto che sono veramente il dodicesimo uomo in campo e potrebbero fare veramente la differenza. Poi, è chiaro, ci sono situazioni in cui un tifoso non ce la fa più perché subisce un mix di sconfitte, le aspettative vengono meno, però, secondo me, il ruolo del tifoso andrebbe sempre circoscritto a sostenere i giocatori, la squadra, il gruppo al di là della rabbia che può nascere dopo una delusione scaturita da una sconfitta".

In questo caso specifico, quello che è successo ha inciso in determinate valutazioni sia da parte dei tifosi, ma soprattutto nella testa dei singoli giocatori? "Sì, io penso che l’allenatore abbia una funzione importante, che è quella di tirare fuori il massimo dai giocatori che ha a disposizione. Il giudizio finalizzato a se stesso, ovvero dire 'sei scarso' oppure 'sei un campione', non è una cosa utile. Quando io dico una cosa del genere al calciatore non ho risolto nulla. Se gli dico che è scarso posso ottenere due cose: lui si riscatta, mi vuole dimostrare che non è così, va in campo e dà il massimo, ma spesso e volentieri, proprio perché sono più sensibili, un giocatore che si sente dire che è scarso solitamente fornisce delle prestazioni non all’altezza. Quindi, al di là del potenziale che ha il mio giocatore, io come allenatore ho il preciso dovere di metterlo nelle condizioni di esprimere il suo talento al massimo".

Incide, quindi, il fatto che lo sfogo sia stato reso pubblico o semplicemente è una cosa che non si dovrebbe fare? "È sbagliato, come dicevo prima, incidere sull’identità in senso negativo, cioè dire 'sei scarso' è sbagliato, perché è fine a se stesso, renderlo pubblico, però, amplifica l’errore, perché non è più una cosa tra me e il giocatore, ma diventa di dominio pubblico. Tutti sanno che io penso che quel giocatore è scarso, e io mi metto nei panni del giocatore: cosa deve fare? È normale che faccia fatica ad andare in campo sereno per esprimere il proprio potenziale e talento".

Quanto ha inciso, invece, sulla sensibilità dei giocatori la pandemia, tra chiusure e stadi vuoti per un anno? "Il pubblico è una parte importante soprattutto sulla sfera emotiva e motivazionale, è chiaro che se tu sei senza pubblico devi attingere fin da subito alle tue risorse senza avere la spinta del pubblico che, in una piazza importante come Roma, viene a mancare un aspetto fondamentale. In questo senso, i giocatori hanno subito l’isolamento dal pubblico durante la partita, ma anche nella preparazione". 

Mariacristina Ponti