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Arrivederci Pek, piccolo grande campione

(di Alessio Nardo) Cinque anni e mezzo volati via in un freddo pomeriggio invernale. Si è chiusa un’era, è finita una storia.

Redazione

(di Alessio Nardo) Cinque anni e mezzo volati via in un freddo pomeriggio invernale. Si è chiusa un'era, è finita una storia.

David Marcelo Pizarro Cortes non è più un giocatore della Roma. Gli onnipotenti sceicchi del Manchester City s'accontentano dell'affare low cost e regalano a Roberto Mancini una gustosa pedina per gli ultimi quattro mesi di stagione. L'addio (o arrivederci) si consuma tra amarezza, rimpianto e qualche insulto. S'era rotto l'incantesimo, inutile negarlo. Pizarro costituiva ormai da tempo un corpo estraneo a Trigoria, nell'ambiente, in città.

D'altronde è così. Qui a Roma si approda da eroi e si fugge da furfanti. Quasi non importa ciò che accade durante il percorso. Tutto viene dimenticato in fretta, e la storia di Pizarro in giallorosso sembra ormai racchiusa in qualche litigio, un paio di vaffa ed umani (per quanto gravi) errori. Ma partiamo dall'inizio, estate del 2006. Sta nascendo una grande Roma, tra le più belle di sempre, abilmente guidata da Luciano Spalletti in panchina. Il conducator di Certaldo suggerisce un nome alla dirigenza, il "suo" nome. Pizarro, regista sopraffino, ex Udinese, sbarcato senza fortuna all'Inter di Mancini (proprio lui...). E' un colpo inaspettato, nel cuore d'agosto, orchestrato in silenzio. Il ds Pradé strappa il sì di Moratti e del cileno, confezionando forse il miglior acquisto dell'era Rosella Sensi. L'accoglienza della piazza è felice ma al contempo tiepida. Pizarro, si sa, è un ragazzo particolare. Delizioso in campo, turbolento fuori. Fa il suo esordio ufficiale il 9 settembre, all'Olimpico contro il Livorno, giocando 54' appena discreti, non gradendo la sostituzione con Taddei. L'irritato tragitto verso la doccia anticipata scatena polemiche e chiacchiere. Poi c'è la Champions, lo Shakhtar Donetsk, giusto tre giorni dopo. Il Pek parte dalla panchina la Roma arranca. Spalletti al 62' decide: fuori Aquilani (abulico), dentro lui, il piccolo David, accolto da qualche fischio. L'inerzia d'incanto cambia, la squadra inizia a girare ed il trottolino dal piede fatato domina la scena. In meno di mezzora, un grigio 0-0 si trasforma in sonora goleada: 4-0, l'ultimo gol (neanche a dirlo) porta la firma del numero 7.

Scocca la scintilla, inizia la magia. Pizarro segna anche a Siena in campionato, instaura un'intesa speciale con De Rossi (compagno di reparto nel 4-2-3-1 spallettiano) e per due stagioni la Roma regala spettacolo allo stato puro, conquistando due Coppe Italia, una Supercoppa Italiana, sfiorando uno scudetto e accedendo per due volte di fila ai quarti di finale di Champions League. Il professore cileno insegna calcio ed entra nel cuore della gente. Forse dai tempi di Emerson (o persino di Falcao) non si ammirava un regista di tale eleganza, stile, qualità, padronanza della sfera. Anche nei momenti più bui, il Pek (rendimento alla mano) è tra i migliori. Il ciclo Spalletti pian piano si dissolve, l'approdo di Ranieri nel settembre 2009 sembra poter stravolgere gerarchie consolidate. Ma David conquista il tecnico testaccino e si conferma leader insostituibile dell'undici titolare, nella stagione che porta di nuovo la Roma ad un centimetro dal sogno tricolore. Pizarro non digerisce il secondo scudetto sfumato, lo confesserà nell'estate successiva ("Dobbiamo vincerlo questo maledetto scudetto"). Denota insofferenza, fastidio, amarezza. Forse è lì, in quel romantico e desolante pomeriggio di Verona del 16 maggio 2010 che la storia del Pek in giallorosso, di fatto, si conclude.

Nel campionato successivo iniziano i problemi. Fisici (un ginocchio complicato da gestire), tecnici e comportamentali. Ranieri conferma il 4-3-3 già prescelto nella precedente stagione, ma inverte i ruoli di De Rossi e Pizarro. Danielino si sposta al centro e il cileno, defilato, non gradisce. Partono frecciatine, esclusioni, equivoci, incomprensioni. Il tecnico, stregato dalla miniesplosione di Leandro Greco, vira sul giovane "canterano" e declassa Pizarro a ruolo di alternativa. Un episodio significativo accade il 26 novembre 2010, durante Roma-Bayern di Champions. De Rossi segna il gol del 2-2 a dieci minuti dal termine e corre verso la panchina. Sembra voler abbracciare Ranieri, invece no. Si ferma, si accascia e travolge d'affetto l'amico David. Segnali di una divisione interna, di contrasti tra l'ossatura storica della squadra e il tecnico. Ranieri va avanti per la sua strada e nella sfida prenatalizia col Milan (18 dicembre) esclude dal 1' Pizarro e Totti in favore dei brasiliani Simplicio e Adriano. Il cileno non ne può più e s'assenta da Trigoria, rifugiandosi in patria per un periodo di riflessione. Al rientro a Roma è gelo totale col mister, tanto che a Genova (20 febbraio 2011) il giocatore si rifiuta di andare in panchina, sistemandosi in tribuna. Ranieri perde 4-3 e si dimette. Arriva Montella e Pizarro, come per magia, torna titolare.

Vincenzino si affida al 4-2-3-1 di spallettiana memoria, rispolverando le antiche risorse nel disperato tentativo di agganciare il 4° posto Champions. L'obiettivo fallisce, il nuovo corso dirigenziale opta per lo spagnolo Luis Enrique Martinez Garcia. Già in estate Pizarro viene inserito nelle liste dei papabli partenti da giornali e media, ma alla fine resta. E Luis sembra contento, proponendolo spesso in campo (7 presenze complessive in stagione). Il cileno dà l'idea d'esser felice, il 23 ottobre (dopo l'1-0 al Palermo firmato Lamela) lancia persino una frecciatina a Ranieri, elogiando il nuovo mister: "Come potrei non apprezzare la filosofia del nostro allenatore? Adesso la Roma gioca a calcio...Ho costruito con Luis Enrique un rapporto leale, mi trovo benissimo con lui». L'armonia, ahinoi, dura troppo poco. Il turnover estremo alla lunga innervosisce Pizarro, che non si sente totalmente al centro del progetto tecnico. Iniziano i primi screzi, il 4 gennaio il calciatore abbandona anzitempo una seduta d'allenamento, pur richiamato (più volte) a voce da Luis. E' la fine. Egli torna di nuovo in Cile (stavolta per seri motivi familiari) e al suo rientro trova le porte sbarrate. La Roma non è più sua, è il passato. In extemis, il 31 gennaio, Pizarro (ormai alla soglia dei 33 anni) convola a nozze col Manchester City, e la Città Eterna si divide tra commiati rancorosi e densi di rimpianto. Chi saluta, chi dice addio porta con sé tante cose. Il bello, il brutto, i tonfi, i trionfi. Difficile dimenticare cinque anni e mezzo, quasi impossibile. Un saluto affettuoso e grato, aldilà di tutto, è d'obbligo. In bocca al lupo, David.