rassegna stampa

Kolarov e l’inchino che divide la gente: “Ha chiesto scusa”, “no, ci provocava”

LaPresse

Tra web e radio c’è chi lo difende e chi lo accusa. E c'è il precedente con la Lazio

Redazione

L’impressione è che difficilmente se ne verrà a capo. A meno che non ci sia un passo avanti da una delle due parti, se non da tutte e due. Da un lato c’è Aleksandar Kolarov: dall’altra i ragazzi della Curva Sud. In mezzo una ferita lacerante che sembra non volersi rimarginare. Già, perché se a Verona Kolarov ha segnato il suo 6° gol in campionato, quel gol ha finito con l’acuire la ferita. Perché dal settore giallorosso sono arrivati subito cori contro il serbo e lui ha reagito con un inchino interpretato come una replica polemica. Così la città si è divisa, tra web e radio. "Se lo insultiamo non ce lo meritiamo un giocatore così", il succo di chi lo ha difeso; "È falso e presuntuoso, non lo vogliamo più con la Roma" il concetto di chi è intransigente.

In Serbia - scrive Andrea Pugliese su "La Gazzetta dello Sport" - sono convinti che quell’inchino sia un gesto di rispetto e non di provocazione. E di questo è sicuro anche Di Francesco, cha ha difeso il terzino a fine gara. Un inchino, tra l’altro, Kolarov lo fece verso la Monte Mario dopo il gol al derby. Per molti, era rivolto ai dirigenti della Lazio, con cui i rapporti non sono idilliaci. Sta di fatto che la relazione con i tifosi della Roma è oramai incrinata, da quando Kolarov disse che "i tifosi non devono parlare di calcio, non ne capiscono molto". Anche se poi la deflagrazione è stata quella rispostaccia al tifoso che a Termini gli chiedeva di svegliarsi prima di Firenze, accoppiata poi ad una prestazione pessima. E ieri, tra l’altro, in molto ricordavano le sue frasi del post Lazio-Inter del 2010, quando i tifosi biancocelesti esultavano ai gol dell’Inter per "penalizzare" la Roma. "Sono sconcertato, non avevo mai assistito a nulla di simile – disse –. Invece di tifare per noi la gente ci scherniva, applaudendo gli avversari. Non so se è “odio per la Roma”, ma questo atteggiamento è andato oltre l’intelligenza. Non è più una passione, ma una malattia".