rassegna stampa

Chat, coltelli, nomi in codice. Così la tifoseria giallorossa più dura pianifica attacchi anche all’estero

A pochi giorni dal derby fermati 13 ultrà della Roma. Dai messaggi tra di loro si evince "un manifesto programmatico del gruppo", scrivono gli inquirenti

Redazione

«Molti ragazzi hanno vissuto per la prima volta dei momenti di tensione e si sono comportati bene. Quindi avanti così fianco a fianco, partita dopo partita per crescere ancora. Oggi eravamo 300 domani saremo 500. Orgogliosi di noi e di quello che abbiamo costruito. Non si molla un centimetro». Leggendo le chat dei tifosi fermati giovedì scorso, grazie a un’operazione condotta dalla procura di Roma, sembrerebbe di osservare l’organizzazione interna a un gruppo che mal si coniuga allo sport, al tifo, al calcio. Le aggressioni ai danni di tifosi stranieri, le conversazioni che precedono gli scontri, le manifestazioni violente in Italia e all’estero e un manifesto programmatico: le carte che compongono l’ordinanza di custodia cautelare consegnata ai 13 ultras della Roma, trascendono dal singolo episodio e alzano il sipario dietro al quale andavano in scena i tifosi violenti. E non è un caso, forse, se l’operazione è avvenuta a ridosso del derby della Capitale. Perché «la misura richiesta dal pubblico ministero, essendo il campionato ancora in corso - si legge negli atti – consente di impedire agli indagati le trasferte finalizzate all’estrinsecazione di violenza, con la prescrizione di permanere in casa durante lo svolgimento delle partite calcistiche della A.S. Roma». Del resto si parla di un gruppo organizzato, dotato di regole messe nero su bianco.

«La coesione del gruppo, la forte determinazione e la progettualità di reiterazione delle azioni delittuose», si evince anche da quello che gli inquirenti definiscono «un manifesto programmatico del gruppo». Ecco il contenuto, rinvenuto dagli inquirenti nel cellulare di un indagato: «Questa chat è stata fatta perché ognuno che ne fa parte crede in questo gruppo e in quello che si sta facendo. Far parte di un gruppo significa sacrificio… Significa credere in quello che si fa. Se in questo gruppo qualcuno non ha voglia o gli è passata o vuole farsi le trasferte tranquillamente per conto suo non c’è nessun problema…Può uscire senza nessuna costrizione da parte di nessuno. Ma se si sta qui sopra ci si sta in una certa maniera. In una certa maniera significa dare la propria disponibilità, rinunciare se serve a una serata in discoteca o qualsiasi altra cosa. Se qualsiasi persona che sta qui sopra ci ha ripensato e non se la sente nessun problema ripeto. Per chi rimane mercoledì tutti presenti all’appuntamento che (…) vi sta dando. Tutti!!!! Così da cominciare a conoscervi per cominciare a viaggiare spalla a spalla in tutto!!!“. Il gruppo richiede una disponibilità totale, specialmente prima della partita contro la Lazio: «Prima del derby tutti devono essere presenti e non si accettano giustificazioni a meno che non ci siano casi specifici», scrive uno dei leader. E poi ci sono gli ordini: «Non voglio vedere postato su Fb il giorno della trasferta foto dentro o fuori lo stadio (…) non se va a da na scampagnata de pasquetta (…)senza volerlo diamo una mano ai caschi blu».

Le indagini condotte dal sostituto procuratore Eugenio Albamonte prendono il via dopo i fatti del 31 marzo 2016. Mancavano solo 3 giorni al derby, quando alcuni «appartenenti al gruppo ultras Roma – recita il capo d’imputazione – in concorso tra loro e con ignoti, in gruppo composto da circa 20 persone, alla vigilia della partita di derby Roma -Lazio, aggredivano con calci e pugni, con l’uso di caschi quali armi contundenti o di armi da taglio, una comitiva di turisti svedesi che indossavano la maglia della Lazio, intenti a consumare un pasto nei tavoli esterni del pub Yellow sito in via Palestro numero 20, cosi cagionavano (alla vittima ndr) una ferita penetrante al gluteo sinistro con penetrazione di oltre 7 centimetri». Insomma si trattava di un’aggressione «sviluppata con modalità di inaudita violenza» e dando «sfogo a una sconsiderata e selvaggia forza brutale». Il tutto «dietro il pretesto dell’appartenenza ad altra fede calcistica». In quell’occasione 3 ultras erano stati fermati. E grazie ai telefoni cellulari sequestrati e alle telecamere, gli inquirenti avevano capito che si trattava di «persone già note perché identificate durante le competizioni calcistiche e in parte già denunciate per i cosiddetti reati da stadio».

La polizia giudiziaria infatti conosceva «gli indagati e la loro provenienza storica nell’ambito della tifoseria ultras della A. S. Roma». E ancora: «Appartengono al gruppo denominato “Roma”, nel quale confluiscono vari esponenti della tifoseria giallorossa, la cui frangia più violenta è costituita da coloro che, prima di confluire nella citata organizzazione di tifosi, costituivano il gruppo “Padroni di Casa”, compagine di estrazione politica aderente alla estrema destra extraparlamentare».

Lo sviluppo successivo delle indagini aveva portato gli inquirenti a leggere il contenuto di alcune chat con centinaia di partecipanti. Tutti pronti a organizzarsi, come in occasione dell’aggressione ai turisti svedesi. «Ci sono 20 bulgari amici dei laziali», segnala un indagato. Da via di Torrevecchia fino alla stazione Termini passando per piazza Indipendenza: non importa dove si trovassero. In pochi minuti il gruppo si raduna lasciando in casa figli con la varicella, cognate in stato di gravidanza o non rispondendo al telefono alle partner ansiose («oggi divorzio ma stò ad arrivà»). «O facciamo subito o lasciamo perdere» avvisa la sentinella dopo aver fatto un sopralluogo. «Ci stiamo organizzando», risponde un indagato. E ancora: «raduniamo un numero di gente buono..anche di qualità (…) sia i nostri che i Padroni». E così si dà il via «all’aggressione, preordinata e studiata anche nel suo carattere violento, con vere e proprie modalità da branco». «Un modus agendi da branco, studiato, coeso, programmato, per realizzare azioni connotate da assoluta gravità ed efferatezza». Ma per gli indagati era qualcosa di cui vantarsi: «Erano una decina scrive inorgoglito un ultras tutti con le magliette della Lazio a cantà i cori. Niente te la scio immaginà il seguito… Semo partiti fratè, sfonnati, non puoi capire. Biciclette che volavano. Io ho tirato un secchio della monnezza su un tavolo…Ne ho sbragati 3..Bellissimo».

«Quello oggetto del presente provvedimento – si legge negli atti – non è stato certamente l’ultimo degli episodi nei quali il gruppo si è contraddistinto per la gratuita violenza, dato che certamente non sorprende perché si tratta della mera attuazione del programma riportato». Del resto si tratta di indagati che «hanno mostrato un forte spirito corporativo, una coesione che sarebbe degna di ben altre attività, oltre che una capacità, pure economica, di seguire la propria squadra in trasferte anche all’estero, ovviamente con finalità tutt’altro che sportive, ma in ogni caso violente e consapevolmente criminali». Come il 20 ottobre 2016, quando la Roma incontrava l’Austria Vienna in occasione dell’Europa League. In via San Martino della Battaglia avvennero tafferugli, proprio nelle vicinanze dell’aggressione subita anche dagli svedesi. Secondo gli inquirenti gli ultras percepiscono quel territorio «come proprio e nel quale non tollerano interferenze». Le trasferte divengono «occasioni per dare sfogo alle violenze e al senso di prevaricazione ai danni tanto dei tifosi avversari quanto alle forze dell’ordine. Manifestazioni di forza che nulla hanno a che vedere con il tifo e lo sport». Proprio come accaduto a Madrid. «Abbiamo scritto una pagina importante del nostro percorso – recita un messaggio in una chat – a Madrid nessuno mai aveva fatto un corteo di un’ora per le strade della città mentre i nostri avversari erano chiusi dentro un pub e la polizia non riusciva a contenerci. La collaborazione con gli altri e l’unione tra di noi ancora di più rafforzata. Vedere quanto è importante essere puntuali agli appuntamenti ed essere compatti tra di noi?!». E ancora: «L’indole violenta del gruppo è emersa anche in occasione della trasferta dei tifosi giallorossi a Bergamo per l’incontro Atalanta-Roma del 20 novembre 2016. Al termine della gara nell’area protetta del settore ospiti dello stadio, si sono verificati altri scontri con le forze dell’ordine». I precedenti provvedimenti ai danni degli indagati parlano chiaro: risalgono agli scontri in occasione della partita con la Fiorentina, con il Siena, con l’Inter, il Chievo, la Juventus o le proteste a Trigoria. E spesso ci sono sempre loro: i Padroni di Casa.

Si tratta dello stesso gruppo che a breve vedrà alcuni esponenti davanti al gup. Le presunte minacce rivolte ai calciatori, le contestazioni a Trigoria o il rinvenimento di un arsenale riposto in una macchina parcheggiata fuori dallo stadio Olimpico: secondo l’accusa si trattava di una «strategia» che «ha posto in essere, già a partire dall’inizio del 2015, molteplici condotte criminose, dirette a creare disordini e a turbare l’ordinato svolgimento delle competizioni sportive in cui è coinvolta la squadra di calcio A.S. Roma, così contribuendo anche a intimidire i giocatori della squadra medesima».

(F. Musacchio – A. Ossino)