rassegna stampa

Viviani: “Roma mia, perché m’hai abbandonato?”

Il centrocampista della Spal: "Daniele De Rossi con i giovani è fantastico. E questo mi è mancato quando ho lasciato Trigoria"

Redazione

"Se fosse rimasto Luis Enrique, non mi avrebbero mandato via. - dice Federico Viviani, centrocampista della Spal cresciuto nelle giovanili della Roma, intervistato da Benedetto Saccà per Il Messaggero - Ricordo che a metà di quella stagione sono andato dal ds Walter Sabatini con i miei procuratori e gli ho detto: Direttore, devo giocare. A rispondere è stato Luis Enrique: Federico lo faccio crescere io, rimane con me. Così sono rimasto. Per me, fare a 19 anni nove presenze in prima squadra, esordire in A contro la Juventus e giocare in Europa League è stato fantastico. E non sentivo neppure una pressione pazzesca".

Perché Luis Enrique ha fallito?

"Era la prima grande esperienza per lui. Arrivava alla Roma, era appena cambiato tutto, si era insediata la dirigenza americana, la rosa era stata rifondata. Luis era alla prima avventura lontano dalla Spagna e, se sei inesperto, a Roma ti sfondano".

Il suo rapporto con i capitani?

"Totti parlava poco: gli piaceva scherzare e prendere in giro tutti, però se c'era da dire qualcosa la diceva. Con De Rossi ho un rapporto particolare. Prima del mio esordio in Serie A Daniele mi disse: Sei un predestinato, a nessuno accade la fortuna di esordire in Serie A contro la Juve. Stai tranquillo, gioca come sai, hai personalità, non pensare troppo. Se sei in difficoltà, dai la palla a me, ci sono io qui dietro. Non potevo crederci. Daniele, con i giovani, è fantastico. E questo mi è mancato quando ho lasciato la Roma. Per paradosso, mi ha fatto male, questa mancanza. Ti scontri con la realtà. Trovi gente a cui non interessi, anzi, proprio perché arrivi dalla Roma ti massacra, e ti rendi conto di aver vissuto in una realtà fatta di persone splendide. Una bolla di sapone. Questo fa la differenza tra i campioni e i non campioni".

E Bruno Conti?

"Eccezionale. Anche se hai 13 anni, ti fa sentire speciale. Sembra un papà. Vuole portare i ragazzi in prima squadra e ci riesce. Con Bruno, dal vivaio della Roma, sono usciti solo giocatori di Serie A o B. Ha l'occhio".

E Alberto De Rossi?

"Ho un rapporto eccezionale con lui. Con la Primavera abbiamo vinto lo scudetto e la Coppa Italia. Eravamo i più forti. Imbarazzanti. Ma se non fosse stato per mio nonno Mario chissà dove sarei oggi. I miei lavoravano tutti i giorni e lui, ogni venerdì, veniva a prendermi alle scuole medie a Grotte di Castro e mi portava a Roma. Faceva 160 chilometri per arrivare a Trigoria, rimaneva per tre ore fuori perché non poteva entrare, e poi tornavamo indietro".

Il futuro come lo immagina?

"Il mio sogno è il Mondiale del 2022 in Qatar".

L'allenatore cui deve di più?

"A livello professionistico, Mark Iuliano. Appena è arrivato a Latina mi ha scelto come capitano. Avevo 22 anni. E per migliorare nelle punizioni studiavo Beckham e Mihajlovic".

La rivedremo a Trigoria, allora?

"Ma magari...".