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L’autogol di Izzo e il mito tutto italiano della vittoria sporca

Il massimo della libidine è vincere un derby all’ultimo minuto su autorete, o con un rigore che non c’era

Redazione

La vittoria sporca è virtuosa, la vittoria sporca è impura. Rubacchia il destino con o senza estro e senza mai disdegnare la botta di culo. Il provvido autogol. Il tiro estremo, meglio se un tiraccio a occhi chiusi e come va, va. E chissà perché in Italia amiamo così tanto inzaccherare le partite, strizzarle e cavarne i tre punti. In fondo, anche il classico gioco all’italiana altro non era che sporcare un po’ le partite per poi catturarle.

Se vinci una partita sporca “vuol dire che è l’anno giusto”. Il gioco sporco è brutto ma piace perché è un furbo, uno che alla fine se la cava. Ma anche, spiega Crosetti su La Repubblica, perché è un tenace, un ruvido. A volte, però, il giocatore sporco è solo un Gastone che passava di lì per caso, ha visto brillare qualcosa accanto a un tombino, si è chinato ed era una moneta d’oro. Non esiste autorete senza il tiro che l’ha provocata. Solo sporcandosi le mani si cava la pepita. Ma in campo? Qual è la pietra filosofale capace di trasformare la materia che pareva corrotta? La carambola del povero Izzo a Marassi, i guizzi di Bacca e Perisic, Tonelli e Immobile custodiscono un fascino - lui sì - puro e incorrotto: quello della speranza di chi ci prova, del disperato ottimismo di chi non s’arrende mai. Non solo la fortuna, anche il gioco sporco aiuta gli audaci. Qualunque tifoso vi dirà che il massimo della libidine è vincere un derby all’ultimo minuto su autorete, o con un rigore che non c’era.