rassegna stampa roma

I saluti romani da Marzabotto a Ponte Milvio

I tanti episodi degli ultimi giorni dimostrano che il nazismo sta risorgendo

Redazione

Esiste ancora molta gente convinta che gli avversari si deprimano, se gli fischi l’inno. Molti si erano ritrovati lunedì sera a San Siro, e avevano fischiato a più non posso l’inno svedese. Reazione di Buffon e degli altri azzurri a centrocampo: raddoppiare i battimani. Chi fa sport, tanto più a certi livelli, sa bene che questi fischi raggiungono l’effetto contrario. Non scaricano, caricano. Ed equivalgono a una patente d’immaturità, o di cattiva educazione, o d’inciviltà, fate voi. Un inno, bello o brutto che sia, rappresenta un intero Paese, e va rispettato, sempre. I fischi, c’è tutto il tempo per riservarli ai calciatori avversari. Per confonderli, per intimorirli. Su una squadra forte in genere non lasciano traccia. Sulla Svezia non ne hanno lasciata. Sì su De Rossi. Ha un’aria da orco, accentuata dalla lunga barba da talebano, e quando c’è da menare mena. Qualcosa gli è rimasto dentro, oltre all'infinita amarezza per aver fallito l’obiettivo. Non ha giocato, anzi ha rifiutato un cambio assurdo dimostrando quanto fosse sfilacciato ormai il rapporto con Ventura. Dopo la doccia De Rossi si riveste e va al pullman degli svedesi, sale e chiede scusa per i fischi all'inno, scende facendo gli auguri per il Mondiale. Gli svedesi non se l’aspettavano. Io nemmeno. De Rossi 8. Non era facile, è più facile essere sportivi quando si vince. Però a volte si ha la sensazione che una ventata ripulisca l’aria degli stadi.

Come riporta l'edizione odierna de "La Repubblica", il derby di Roma s’è aperto con un lungo, affettuoso applauso in ricordo di Gabriele Sandri, la sua famiglia a sorridere ringraziando dalla pista d’atletica. La ventata non è passata da Ponte Milvio: due ore prima della partita un folto gruppo di tifosi laziali ha rimesso in scesa la squallida esibizione di saluti romani e di cori “giallorosso ebreo”. La ventata che ripulisce l’aria non è passata nemmeno da Marzabotto. Campionato di seconda categoria, la squadra ospite segna nel recupero il 2-1. Si chiama Futa 65, rappresenta i comuni di Loiano e Monghidoro. Il giocatore che segna il 2-1 corre verso la rete di recinzione facendo il saluto romano e si toglie la maglia. Sotto ne ha una che ricorda la Repubblica di Salò. Da qui in poi lo chiamerò il Cretino per una serie di comportamenti in contraddizione fra loro. Postata l’immagine, si rende conto più o meno vagamente di quello che ha provocato ed emette un lungo comunicato in cui si scusa più volte per aver ferito i sentimenti della popolazione.

Intervistato più tardi, il Cretino sostiene che il suo non era un saluto romano. Già che c’è, dice che la maglietta esposta era una maglietta qualsiasi e che non c’era premeditazione. È a questo punto che il Cretino diventa il Bugiardo. Quella maglietta lì, proprio quando si giocava a Marzabotto. Non a Sasso Marconi, a Monte San Pietro, no. A Marzabotto. Non a Grizzana Morandi, a Monzuno, a Vergato, no. A Marzabotto. E senza sapere nulla di Marzabotto. Che combinazione.

Oggi tutta la squadra del Cretino Bugiardo andrà al sacrario di Monte Sole, tranne uno: lui. Non un cuordileone, vien da dire. La viltà è tipica di chi irride i morti, come lo sventolare ignoranza e il raccontare frottole. Il Cretino Bugiardo Vigliacco può ringraziare i suoi compagni, che non hanno nulla da rimproverarsi. Lui, che molto avrebbe, non si fa vedere. Chissà se gli hanno detto dei 55 bambini ammazzati come conigli, il più piccolo aveva 14 giorni, dei preti decapitati, delle donne e dei vecchi inermi e massacrati. “La nostra pietà per loro significhi che tutti gli uomini e le donne sappiano vigilare perché mai più il nazifascismo risorga”. Così sta scritto su una lapide nel cimitero di Casaglia. Ma sta risorgendo, troppi i segnali per ignorarli. Meglio non ignorarli, però, meglio sapere da che parte soffia il vento.

(G. Mura)