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Un anno senza di te: caro Totti, ci manchi. Ma nessuna tristezza

Dodici mesi fa l'addio al calcio del Capitano della nostra storia. Non è stato facile abituarci, ma ce l'abbiamo fatta. Sia noi, sia Francesco

Massimo Limiti

Alla fine ci siamo abituati. Noi e te. Noi ci siamo abituati a non vederti più in campo con la tua maglia numero 10. E siamo tutti più soli, perché in questo nostro mondo romanista eroi ce ne sono sempre stati pochi, ma Robin tanti.

Anche tu, Capitano, ti sei abituato: a Bergamo eri in giacca e cravatta, ingessato, e si vedeva lontano un miglio che saresti voluto essere in campo a riscaldarti, invece che in tribuna a sudare. Poi, settimana dopo settimana, ti sei sciolto, e la sera di Roma-Barcellona eri nello spogliatoio a festeggiare commosso con i giocatori. Ce l’ha dovuto raccontare Skoruspki, uno che tra qualche settimana non ci sarà neanche più, come hai vissuto quella notte. Le voci cattive di chi ancora ti invidia perché sei quello che lui non sarà mai dicevano che stavi rosicando - perdonaci il termine - e avevi lasciato l’Olimpico a testa bassa. Invece no: eri con loro a gioire, eri uno di noi. Come sempre, più di sempre, adesso che non puoi più guidarci dal campo. E anche se per un istante dovessi aver pensato: “Ma ce potevo sta’ io...” noi ti capiamo, Capitano.

Passeranno le stagioni, il tuo seggiolino in tribuna sarà sempre più comodo, e per noi sarà sempre più bello raccontare la tua storia, che poi è pure la nostra. Non si è interrotta il 28 maggio di un anno fa, ha solo preso una piega diversa. Ma grazie al lavoro tuo, degli altri dirigenti, di Di Francesco e dei giocatori, questi mesi sono passati. Lenti all’inizio, difficili in inverno, inaspettati ed emozionanti in primavera.

Non sappiamo neanche noi, neanche tu, come sia stato possibile. Ma siamo sopravvissuti. Tutti. E ce la siamo pure goduta, a tratti, quest’annata. Ed è per questo che “questa lettera termina senza nessuna tristezza”. Lo ha scritto Pablo Neruda. E non poteva che essere ne “I versi del Capitano”.